Se i fondi sono residenti nella white list, il beneficio è accordato senza ulteriori indagini sulla residenza dei sottoscrittori

Di Gianluca ODETTO

La risposta a interpello n. 88 pubblicata ieri, 3 dicembre 2018, esamina la causa esimente della disciplina antielusiva dell’ACE contenuta nell’art. 10 comma 4 lettera b) del DM 3 agosto 2017, stabilendo che, ai fini della disapplicazione di tale disciplina, non occorre effettuare “indagini” sulla residenza fiscale dei soci o partecipanti del soggetto conferente se questo è un fondo localizzato in uno Stato o territorio che garantisce un adeguato scambio di informazioni ai fini fiscali.

In termini generali, il comma 4 dell’art. 10 stabilisce che la base ACE è ridotta dei conferimenti in denaro provenienti da soggetti diversi da quelli domiciliati in Stati o territori che consentono un adeguato scambio di informazioni, anche se non appartenenti al gruppo.
Ai fini di questa verifica occorre adottare un approccio look through, per cui la riduzione opera nel momento in cui nella compagine sociale della conferente vi siano soci residentiin detti Stati; tuttavia, la lettera b) della stessa norma esclude che vada operata questa verifica “a ritroso” nel momento in cui gli apporti provengono da un fondo di investimento regolamentato e localizzato in Stati o territori che consentono un adeguato scambio di informazioni, per cui non è più necessario indagare sulla residenza fiscale dei sottoscrittori del fondo stesso.

Nel caso specifico, la società conferente, che ha aumentato il capitale della società italiana istante, è residente in Lussemburgo, ma è partecipata da sei fondi di investimento regolamentati di Jersey; avendo Jersey un Trattato per lo scambio di informazioni con l’Italia che ha effetto dal 2016 ed essendo il conferimento a favore della società italiana avvenuto nel 2017, la disapplicazione della disciplina antielusiva è stata accordata, anche sulla base del presupposto per cui, nella complessa operazione societaria esaminata, non si è verificato alcun fenomeno di proliferazione della base ACE.

La risposta n. 88/2018 sembra, inoltre, superare un punto critico che era emerso all’atto della riscrittura delle disposizioni anti abuso operata dal DM 3 agosto 2017.
Mentre, infatti, l’art. 10 comma 1 lettera d) del DM 14 marzo 2012 “sterilizzava” gli apporti provenienti da soggetti domiciliati in Stati o territori non appartenenti alla white list, la corrispondente norma del nuovo DM attuativo menziona i “soggetti diversi da quelli domiciliati in Stati o territori che consentono un adeguato scambio di informazioni”, Stati o territori che solo in via interpretativa la Relazione al DM 3 agosto 2017 individua negli Stati non appartenenti alla white list.

Sempre secondo la Relazione, dovendosi considerare ai fini della disciplina anti abuso tuttele movimentazioni di denaro intervenute dal 1° gennaio 2011, non potrebbero dirsi incluse nella white list a questi specifici fini le giurisdizioni incluse nella lista dopo tale data. Il problema ha una sua specifica rilevanza alla luce del fatto che l’inclusione di molti Stati nella white list è avvenuta con i DM 9 agosto 2016 e 23 marzo 2017 (un caso per tutti, la Svizzera, ma il discorso può essere esteso allo stesso Jersey), e che quindi non avrebbe rilevanza, ai fini della disapplicazione della disciplina anti abuso, che al momento di presentazione della dichiarazione lo Stato di localizzazione del conferente estero sia invece incluso nella lista.

La risposta n. 88/2018 sembra, come detto, adottare un approccio più flessibile, guardando non solo al fatto materiale della presenza o meno dello Stato estero nella white list, ma anche ai motivi che hanno portato alla sua inclusione tra gli Stati collaborativi (la sussistenza di un TIEA, che “copre” il periodo d’imposta in cui è avvenuto il conferimento a favore della società italiana); il principio che traspare dalla risposta è, quindi, quello per cui non occorrerebbe risalire, a livello temporale, sino al primo periodo d’imposta di vigenza dell’ACE, essendo al contrario sufficiente che, al momento del conferimento, lo Stato in questione abbia con l’Italia uno strumento per lo scambio di informazioni ai fini fiscali che consenta all’Italia di “tracciare” le movimentazioni dei fondi, attraverso una specifica richiesta all’altro Stato.