La possibilità di svolgere attività diverse di natura commerciale comporterà la necessità di richiedere un numero di partita IVA

Di Francesco NAPOLITANO

Tra i vari soggetti coinvolti dell’obbligo, a partire dal 1° gennaio 2019, di emettere e ricevere le fatture in formato elettronico, previsto dalla L. n. 205/2017 (legge di bilancio 2018), figurano senza dubbio gli enti non commerciali, tra i quali si annoverano anche i futuri enti del Terzo settore quando entreranno in vigore le norme di cui al DLgs. n. 117/2017.

La numerosità di tali enti, la loro diffusione territoriale e l’impatto sociale che ne deriva impongono qualche chiarimento e riflessione, soprattutto perché, se per gli enti dotati di partita IVA non c’è dubbio che sia obbligatorio scegliere l’indirizzo telematico da e verso cui far partire e ricevere le fatture elettroniche, tra gli enti no profit dotati soltantodi codice fiscale si registra qualche incertezza.
Tra l’altro, soccorre – al riguardo – anche il comunicato stampa dell’Agenzia delle Entrate del 27 settembre scorso, che illustra la pubblicazione sul sito dell’Amministrazione finanziaria di una guida pratica per i contribuenti, due video-tutorial e una nuova sezione dedicata alla fatturazione elettronica.

Dato ormai per chiaro che anche gli enti non commerciali titolari di partita IVA, in quanto operatori IVA, dal 1° gennaio 2019, in base a quanto disposto dalla legge di bilancio 2018, sono obbligati a registrare il proprio indirizzo telematico (in genere, la posta elettronica certificata – PEC) abbinandolo al proprio numero di partita IVA, per gli enti non commerciali dotati soltanto di codice fiscale la questione è un po’ diversa.

Questi ultimi, non essendo operatori IVA in senso stretto (ossia quali emittenti fattura), rivestono di conseguenza le caratteristiche di consumatori finali, dove l’IVA rappresenta un costo che viene sommato a quello puro di acquisto del bene o servizio.
In questo caso, considerato che le fatture emesse in forma cartacea non avranno più valore, si pone il problema di ricevere la fattura elettronica dai propri fornitori, che – invece – saranno sicuramente obbligati a emetterla in formato elettronico, con le sole esclusioni dei soggetti da ciò esonerati, come ad esempio i contribuenti in regime forfetario ex L. 190/2014 e quelli in regime di vantaggio (minimi) ex art. 27, commi 1 e 2 del DL 98/2011.

Pertanto, per questi enti, come chiaramente indicato nel provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate n. 89757/2018 (§ 3.4), non sarà necessario avere una PEC perché in tal caso il cedente/fornitore indicherà nel campo del codice destinatario il numero “0000000”, mentre nelle informazioni di carattere anagrafico inserirà il codice fiscale dell’associazione.
Attraverso questa procedura, la fattura elettronica sarà disponibile in un’area riservata del sito dell’Agenzia delle Entrate, accessibile attraverso i servizi telematici mediante registrazione e identificazione.

Nel provvedimento citato è anche chiarito che il cedente/prestatore deve consegnare direttamente all’associazione/cliente copia analogica o informatica della fattura, comunicando contestualmente il fatto che la stessa fattura, in formato elettronico, è resa disponibile sul sito web dell’Agenzia da parte del SdI (Sistema di Interscambio).
L’ente non commerciale committente è libero di non accettare la copia cartacea, anche se non se ne vede il motivo, posto che, comunque, ai fini della tenuta della minima contabilità per le entrate e uscite istituzionali è sempre necessario il supporto documentale al rendiconto di fine esercizio.

Con vari comunicati, l’Agenzia delle Entrate ha fornito numerosi chiarimenti e informazioni sulla materia, evidenziando soprattutto la disponibilità sul proprio sito di tutti gli strumenti – anche tecnici – per adempiere correttamente all’obbligo in rassegna, oltre a fornire informazioni preziose anche per i soggetti non obbligati ma interessati, come il caso che qui ci occupa.

La questione non cambia con l’entrata in vigore della Riforma del Terzo settore dove, semmai, poiché i futuri enti del Terzo settore di natura non commerciale potranno svolgere “attività diverse” (art. 6 del DLgs. 117/2017), secondarie e strumentali a quelle di interesse generale (art. 5 dello stesso decreto), si ritiene che sarà necessario ottenere anche il numero di partita IVA. Ciò in considerazione del fatto che tali attività ex art. 6 avranno sicuramente qualifica commerciale, visto anche il disposto dell’art. 79, comma 5 del DLgs. 117/2017.
In questo caso, la registrazione al SdI diventerebbe necessaria per adempiere l’obbligo di fatturazione elettronica.