Secondo la Cassazione la mera cessione non può costituire di per sé un fatto distrattivo

Di Maria Francesca ARTUSI

Dottrina e giurisprudenza dibattono sull’esatto inquadramento della condotta di “distrazione” prevista nell’ambito della bancarotta fraudolenta patrimoniale.
L’art. 216 comma 1 n. 1 del RD 267/1942 prevede, infatti, la reclusione da tre a dieci anni per l’imprenditore fallito che abbia distratto, occultato, dissimulato, distrutto o dissipato in tutto o in parte i suoi beni ovvero, allo scopo di recare pregiudizio ai creditori, esposto o riconosciuto passività inesistenti.
Richiamando tale norma, l’art. 223 del medesimo decreto estende tale responsabilità anche agli amministratori, ai direttori generali, ai sindaci e ai liquidatori di società dichiarate fallite.

Ci si interroga, pertanto, sulla possibile rilevanza di alcune operazioni contrattuali quali il leasing, la locazione, la vendita con riserva di proprietà, la costituzione di un’ipoteca (cfr., tra le altre, Cass. nn. 5245/2016 e 44549/2015). Allo stesso modo possono rilevare operazioni societarie, quali la cessione o il conferimento d’azienda. Un esempio riguarda la circostanza in cui l’affitto di un ramo di azienda venga realizzato a condizioni di grande svantaggio per la società poi fallita (Cass. n. 18092/2018).
È stato, inoltre, riconosciuto il dolo di bancarotta fraudolenta nel caso di uno schema negoziale, attuato attraverso un collegamento contrattuale tra il negozio di trasferimento immobiliare e quello di affitto di azienda, con la consapevolezza delle parti di non voler determinare un effettivo pagamento del prezzo di vendita e, dunque, di non voler effettivamente trasferire il bene all’acquirente (Cass. n. 39774/2017).

Con la sentenza n. 32049 depositata ieri, la Corte di Cassazione ha, tuttavia, precisato che la mera cessione d’azienda, ancor più se solo in affitto, non può costituire di per sé un fatto distrattivo (anche se destinata ad assorbire l’intera capacità produttiva della società cedente). Occorre, infatti, dimostrare che tale cessione sia avvenuta a fronte di un corrispettivo economico inadeguato oppure che il corrispettivo pattuito non sia stato effettivamente versato; ovvero ancora che il prezzo (fittizio) sia stato corrisposto attraverso una compensazione, totale o parziale, con debiti della società artatamente costruiti.

In altri termini, se, a fronte della cessione dell’azienda, alla società fallita è stato concretamente versato il giusto corrispettivo, la citata sentenza afferma testualmente che “è evidente che non si può ritenere che tale atto l’abbia economicamente depauperata, sostituendosi le somme di denaro ricevute al complesso di beni ceduto”.

Tale impostazione non è, in realtà, univoca in giurisprudenza, trattandosi di un principio che difficilmente può essere seguito in astratto, richiedendo un accertamento caso per caso.

Tanto è vero che la pronuncia in esame conclude sul punto annullando l’ordinanza che applicava le misure cautelari per consentire un nuovo esame sulla sussistenza di gravi indizi (fumus) del delitto di bancarotta.

Nel caso di specie, erano state ordinate le misure coercitive dell’obbligo di dimora nel Comune di residenza e dell’obbligo giornaliero di presentazione alla polizia giudiziaria, nei confronti dell’amministratore unico di una srl, accusato della distrazione dell’intero patrimonio sociale (azienda e crediti) anche in concorso con il successivo amministratore, definito “di comodo”. A costui era, infatti, ascritta una pluralità di delitti di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale in relazione a ristrutturazioni societarie da lui realizzate o favorite, con particolare riguardo alla cessione d’azienda di cui si è detto.

Nelle argomentazioni della Cassazione vengono, invece, valorizzati alcuni elementi fattuali addotti dalla difesa a sostegno della regolarità del contratto di cessione in affitto: la perizia per la determinazione del canone, la visura effettuata dalla società cessionaria, la prova dei pagamenti del canone, la bozza del concordato di acquisto (subentrato al contratto di affitto a seguito del fallimento e in virtù di apposita clausola apposta all’accordo originario).

Allo stesso modo viene richiesta dai giudici una più approfondita indagine sulla sussistenza di un’altra fattispecie legata alla bancarotta, quella connessa alla irregolare tenuta dei libri o delle altre scritture contabili “in guisa da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari” (bancarotta documentale ex art. 216 comma 1 n. 2 del RD 267/1942). Il Tribunale di merito non aveva, infatti, mai precisato quali scritture contabili fossero state irregolarmente tenute.