La Suprema Corte ha stabilito che il DM 24 dicembre 2012 non può essere ritenuto nullo per carenza di potere

Di Roberta Vitale

Legittima l’applicazione della disciplina sul redditometro. È quanto stabilito dalla Cassazione, nell’ordinanza n. 17485 depositata ieri, con riferimento al DM 24 dicembre 2012.
Si fa presente sul punto che, in base al decreto “dignità”, il DM 16 settembre 2015, che ha aggiornato il DM sopra citato, è abrogato con decorrenza dal 2016.

Nel caso di specie, un contribuente presentava ricorso al giudice ordinario contro l’Agenzia delle Entrate per il riconoscimento ex ante, in forza del Codice della privacy, della gravità dei pregiudizi e dei danni alla tutela dei dati personali derivanti dall’applicazione delle procedure di accertamento secondo le modalità di cui al DM 24 dicembre 2012, istitutivo del “redditometro”.
Veniva, inoltre, richiesto di ordinare all’Agenzia delle Entrate di:
– astenersi dal raccogliere dati e informazioni, oltre che monitorare le spese effettuate o effettuande dallo stesso contribuente, con omissione in particolare della raccolta in archivio di tali dati;
– omettere le predette attività e, qualora già in essere, distruggere e cancellare i dati acquisiti e l’archivio di questi.

Il ricorso si fondava sull’art. 7 del Codice della privacy, relativo ai diritti di accesso ai dati personali, ai sensi del quale l’interessato ha il diritto di ottenere: la conferma o meno dell’esistenza di dati personali riguardanti lo stesso e la comunicazione in forma intellegibile; l’indicazione, fra l’altro, dell’origine dei dati personali, delle finalità e modalità di trattamento; l’aggiornamento, la rettificazione o l’integrazione dei dati, la cancellazione, la trasformazione in forma anonima o il blocco dei dati trattati in violazione di legge.
In base a tale disposizione, poi, l’interessato ha diritto di opporsi, fra l’altro, per motivi legittimi al trattamento dei dati personali che lo riguardano, anche se pertinenti allo scopo della raccolta.

Il ricorso veniva accolto dal Tribunale sulla base della disapplicazione del DM 24 dicembre 2012, in quanto nullo per carenza di potere. Di conseguenza, veniva ordinato all’Agenzia delle Entrate, in primo luogo, di “non intraprendere alcuna ricognizione, archiviazione o comunque attività di conoscenza e utilizzo dei dati relativi a quanto previsto dall’art. 38, commi 4 e 5, del DPR n. 600/1973 e … cessare, ove iniziata, ogni attività di accesso, analisi, raccolta dati di ogni genere relativi alla posizione del ricorrente”. In secondo luogo, l’Agenzia delle Entrate avrebbe dovuto comunicare se era in atto un’attività di raccolta dati ai fini dell’applicazione del redditometro e, in caso positivo, la distruzione di tutti i relativi archivi formatisi dopo tale decreto.

La Suprema Corte, su ricorso dell’Agenzia delle Entrate, ha ritenuto errata tale decisione, cassando la stessa e decidendo direttamente nel merito con rigetto del ricorso originario del contribuente.
Precisa innanzitutto la Cassazione che sbaglia il Tribunale a ritenere nullo per carenza di potere il DM 24 dicembre 2012. Infatti, il potere dell’Amministrazione finanziaria di svolgere attività accertative con metodo sintetico si fonda sull’art. 38, commi 4 e 5, del DPR 600/73, nella potestà impositiva dell’Amministrazione ex art. 53 Cost. e nelle attività di accertamento e raccolta di dati attuata presso l’Anagrafe tributaria.

Così intesa la questione, dunque, il ricorso presentato dal contribuente “esorbita” dall’ambito dei diritti di cui all’art. 7 del Codice della privacy, non essendo oggetto di alcuno di essi l’astensione dell’Amministrazione nell’attività di raccolta dati e informazioni, oltre che di monitoraggio delle spese effettuate o effettuande del contribuente stesso.
Inoltre, la domanda, nella parte in cui si chiede la distruzione e la cancellazione dei dati acquisiti e dell’archivio degli stessi, si “scontra” con l’art. 7, comma 3 del Codice della privacy, in quanto il trattamento dei dati si fonda sull’art. 38 citato, così come integrato con l’art. 19, comma 1 del Codice della privacy, che consente al soggetto pubblico il trattamento di dati diversi da quelli sensibili o giudiziari per lo svolgimento delle funzioni istituzionali, anche in mancanza di una espressa disposizione di legge in merito.

Sempre ai fini della delimitazione del campo di applicazione dell’art. 7 citato, la Cassazione ricorda poi che i diritti dell’interessato riguardano il trattamento illegittimo solo di dati individuati in maniera specifica e non, più genericamente, di tutti quelli dell’interessato.

Rileva, infine, la Suprema Corte che è sbagliato ritenere esercitabile il potere di disapplicazione dell’atto amministrativo illegittimo da parte del giudice ordinario nell’ambito di un giudizio in cui sia parte la Pubblica Amministrazione, trovando applicazione solo in quelli tra privati e, comunque, “nei soli casi in cui l’atto illegittimo venga in rilievo, non già come fondamento del diritto dedotto in giudizio (come nel caso di specie, …), ma come mero antecedente logico, sicché la questione venga a prospettarsi come pregiudiziale in senso tecnico”.