Dal punto di vista sanzionatorio la nuova norma è più favorevole rispetto alla fattispecie precedente

Il delitto di omesso versamento di ritenute previdenziali e assistenziali, previsto dall’art. 2 comma 1-bis del DL 463/1983, è stato oggetto della depenalizzazione operata dal DLgs. 8/2016, in forza della quale oggi l’omissione delle ritenute, per un importo superiore a 10.000 euro annui, è punito con la reclusione fino a tre anni e con la multa fino a 1.032 euro. Mentre, se l’importo omesso non è superiore a 10.000 euro annui, si applica la sanzione amministrativa pecuniaria da 10.000 a 50.000 euro.
La norma precisa, inoltre, che il datore di lavoro non sarà punibile, né assoggettabile alla sanzione amministrativa, quando provveda al versamento delle ritenute entro tre mesi dalla contestazione o dalla notifica dell’avvenuto accertamento della violazione.

Secondo un orientamento della Corte di Cassazione, ribadito dalla sentenza n. 23179 depositata ieri, il legislatore – con tale riforma – non si è limitato semplicemente a introdurre un limite di non punibilità delle condotte lasciando inalterato, per il resto, l’assetto della precedente figura normativa. Tale superamento è stato, invece, configurato in modo strettamente collegato al periodo temporale dell’anno, quale vero e proprio elemento caratterizzante il disvalore dell’offensività e identificativo del momento consumativo del reato stesso (cfr. anche Cass. n. 37232/2016).

In altri termini, il reato deve ritenersi già perfezionato nel momento e nel mese in cui l’importo non versato, calcolato a decorrere dalla mensilità di gennaio dell’anno considerato, superi l’importo di 10.000 euro, senza che le ulteriori omissioni che seguano nei mesi successivi dello stesso anno, sino al mese finale di dicembre, possano “aprire” un nuovo periodo e dare luogo, in caso di secondo superamento, a un ulteriore reato.

Tali condotte successive si limitano, cioè, ad accentuare la lesione inferta al bene giuridico, non a determinarne una nuova e autonomamente sanzionabile. Se, da un lato, queste non possono semplicemente atteggiarsi quale elemento (post factum) penalmente irrilevante, dall’altro, non possono segnare, in corrispondenza di ogni ulteriore mensilità non versata, un ulteriore autonomo momento di disvalore (che sarebbe, infatti, assorbito da quello già in essere).
Ricorre, perciò, una fattispecie caratterizzata dalla “progressione criminosa” nel cui ambito, una volta superato il limite di legge, si possono verificare, nel corso del medesimo anno, momenti esecutivi successivi che realizzano un reato unitario a consumazione prolungata, la cui definitiva cessazione viene a coincidere con la scadenza prevista dalla legge per il versamento dell’ultima mensilità, ovvero con il termine del 16 del mese di gennaio dell’anno successivo.

Va ricordato che, secondo quanto precisato di recente dalle Sezioni Unite, nell’attuale strutturazione del reato la consumazione dello stesso può realizzarsi secondo una triplice modalità: la prima, caratterizzata dallo sforamento della soglia, a partire dal mese di gennaio, senza che facciano seguito altre omissioni; la seconda, caratterizzata da più omissioni ricorrenti nel medesimo anno che complessivamente superano i 10.000 euro; la terza, riferita all’intero arco temporale annuale, tenendo però conto del fatto che, laddove anche il versamento del mese di dicembre sia omesso, va preso in considerazione il termine del 16 gennaio dell’anno successivo (Cass. SS.UU. n. 10424/2018).

Oggi il reato deve considerarsi unitario

Seguendo tale impostazione, la nuova norma risulta più favorevole rispetto alla precedente perché non consente l’aumento sanzionatorio previsto per il reato continuato. L’art 81 c.p. disciplina, infatti, le ipotesi in cui vengano commesse più azioni od omissioni che, pur restando autonomi reati, sono unificate dal “medesimo disegno criminoso”; da un punto di vista sanzionatorio, il legislatore opta qui per un cumulo di pene “mitigato” rispetto alla mera sommatoria tra le stesse.

Nel caso affrontato dalla sentenza in esame, il legale rappresentante di una srl era stato condannato (a cinque mesi di reclusione e 700 euro di multa) per il reato di omesso versamento delle ritenute previdenziali e assistenziali operate sui contributi corrisposti ai lavoratori per un periodo di alcune mensilità e per un ammontare complessivo di 26.347 euro.
Il ricorrente contestava proprio la valutazione del giudice di merito che aveva ritenuto applicabile l’attuale normativa (post DLgs. 8/2016) invece che riconoscere il carattere “più favorevole”, ai sensi dell’art. 2 comma 4 c.p., della fattispecie vigente al tempo dell’omissione (2010).

La Corte di Cassazione non concorda con tali argomentazioni, affermando – come si è detto – che il reato debba oggi considerarsi unitario (a consumazione progressiva) e, in quanto tale, non suscettibile di far operare l’aumento della pena (fino al triplo della violazione più grave) in virtù del regime della continuazione.