Ma la tesi della Cassazione confonde l’accertamento con la liquidazione automatica

In seno alla giurisprudenza di legittimità emergono, di recente, orientamenti che denotano come, in tema di avvisi di recupero dei crediti d’imposta, regni una compatta confusione.

Non solo è stato affermato che l’avviso di recupero del credito d’imposta non deve essere preceduto dal contraddittorio con il contribuente in quanto propedeutico al successivo accertamento (Cass. 14 marzo 2018 n. 6347, cosa insostenibile, visto che tale atto è un accertamento limitato nell’oggetto), ma pure che esso è in sostanza un surrogato dell’avviso bonario.

Questo principio è stato asserito a chiare lettere nella sentenza n. 23365 del 6 ottobre 2017, in cui la difesa lamentava il fatto che il credito d’imposta (nella specie, ex art. 7 della L. 388/2000) non potesse essere contestato mediante diretta iscrizione a ruolo, quindi a seguito di liquidazione automatica.
All’inizio del proprio percorso motivazionale, i giudici sembrano adottare un’ermeneutica corretta, sancendo come la diretta iscrizione a ruolo non sia compatibile con il disconoscimento di un credito d’imposta.
Poi, affermano: “ne discende che il disconoscimento, da parte dell’Amministrazione finanziaria, di un credito d’imposta non può avvenire tramite l’emissione di cartella di pagamento avente ad oggetto il relativo importo, senza essere preceduta da un avviso di recupero di credito d’imposta o, quanto meno, bonario”.

Siccome nel caso in oggetto la cartella di pagamento era stata preceduta dall’avviso bonario, il motivo di ricorso è stato rigettato.
Appare evidente l’errore di diritto in cui sono incorsi i giudici: se la diretta iscrizione a ruolo delle somme derivante da liquidazione automatica non può essere utilizzata per disconoscere i crediti d’imposta, è incoerente affermare che, nel contempo, va bene l’avviso bonario.
L’avviso bonario è previsto proprio a seguito della liquidazione automatica, dagli artt. 36-bis del DPR 600/73 e 6 della L. 212/2000.
Poi, è un atto solo facoltativamente impugnabile, e segue una procedura del tutto diversa rispetto a quella dell’avviso di recupero, che prevede, ad esempio, l’iscrizione immediata e intera per imposte, interessi e sanzioni e la possibilità di definizione ai sensi dell’art. 2 del DLgs. 462/97.

Vero è che, come detto dai giudici, l’art. 1 comma 421 e ss. della L. 311/2004 prevede la facoltà, per gli uffici, di utilizzare l’avviso di recupero del credito d’imposta, ma l’alternativa, per i crediti da quadro RU istituiti dalla legislazione speciale, non è di sicuro l’avviso bonario ma l’ordinario avviso di accertamento.

La cartella deve sempre essere nulla

Quanto esposto è in armonia con altre sentenze della Cassazione, che, sulla base dell’equiparazione tra avvisi di recupero di crediti d’imposta e avvisi di accertamento (come detto i primi altro non sono che accertamenti limitati nell’oggetto), hanno sancito sia l’ammissibilità dell’istanza di adesione (Cass. 31 marzo 2017 n. 8429) sia l’applicabilità della riscossione frazionata (Cass. 15 febbraio 2013 n. 3838).

La liquidazione automatica può ritenersi legittima solo quando l’utilizzo indebito di un credito d’imposta scaturisca dall’esame cartolare della dichiarazione, e rientri nelle casistiche del 36-bis; allora si potrebbe affermare addirittura che l’Ufficio “debba” avvalersi dell’avviso bonario e non dell’avviso di recupero, per vari motivi.
Ad esempio, se si rientra nel 36-bis, come stabilisce l’art. 13 comma 5 del DLgs. 471/97, c’è sempre la sanzione del 30% anche se il credito fosse inesistente.