Secondo la Corte Ue, l’errata qualificazione dell’operazione non inibisce la possibilità di rettifica

È obbligatorio rettificare la detrazione dell’IVA quando questa sia “superiore o inferiore a quella cui il soggetto passivo ha diritto”. Ciò vale anche nel caso in cui la detrazione operata inizialmente non avrebbe comunque potuto essere effettuata. Questa, in estrema sintesi, una delle conclusioni cui sono giunti i giudici della Corte di Giustizia Ue nella sentenza di ieri relativa alla causa C-532/16 SEB bankas AB.

Il fatto riguardava la cessione di un terreno, originariamente qualificata dalle parti come operazione soggetta a IVA. La scelta di ritenere l’operazione imponibile, da cui è scaturita anche la conseguente detrazione dell’imposta da parte dell’acquirente, era stata adottata da cedente e cessionario sulla base della prassi dell’amministrazione finanziaria nazionale (lituana), successivamente rivelatasi non corretta. Qualche anno dopo il perfezionamento della cessione, il cedente emetteva una nota di credito nei confronti del cessionario, adducendo, quale giustificazione, il fatto che la cessione originaria non avesse riguardato un terreno edificabile e, dunque, dovesse essere considerata esente dal pagamento dell’imposta.

La prima delle questioni poste al vaglio della Corte dal giudice del rinvio attiene alla possibilità di procedere alla rettifica dell’imposta portata in detrazione laddove manchino inizialmente i presupposti legittimi per l’esercizio della stessa.
Secondo i giudici europei l’art. 184 della direttiva 2006/112/CE, nello stabilire che “la detrazione operata inizialmente è rettificata quando è superiore o inferiore a quella cui il soggetto passivo ha diritto” non pone limitazioni di sorta all’obbligo di rettifica, stabilendone un ambito applicativo il più ampio possibile. Tale formulazione non esclude alcuna possibile ipotesi di detrazione indebita (punto 33 della sentenza in commento); a ben vedere, poi, come rilevato dalla Corte Ue, il caso in cui sia stata operata una detrazione, non sussistendone il diritto, può essere assimilabile all’ipotesi in cui la detrazione operata inizialmente sia superiore a quella di cui il soggetto passivo ha diritto (punto 34).

Stabilito quindi il principio secondo cui, nel caso di specie, la rettifica non sia solo possibile, ma obbligatoria, la seconda questione affrontata dai giudici della Corte concerneva la possibilità di applicare, nella circostanza, gli artt. da 187 a 189 della direttiva 2006/112/CE. Le norme citate disciplinano il meccanismo di rettifica della detrazione nel caso di “beni di investimento”, per effetto di “variazioni del diritto alla detrazione successive all’acquisto, alla fabbricazione o al primo utilizzo di tali beni”. Secondo i giudici europei tali disposizioni non possono rendersi applicabili nel fatto di causa, non essendo qui in presenza di una delle fattispecie testé descritte, quanto piuttosto dell’assenza “di qualsiasi diritto alla detrazione ab initio” (punto 41).

La Corte, infine, è stata chiamata ad esprimersi su un’ultima questione non meno rilevante delle precedenti: qual è la data in cui sorge l’obbligo di rettifica dell’indebita detrazione ed entro quale periodo tale rettifica deve avere luogo? La risposta dei giudici europei trova fondamento nei principi sin qui espressi. Considerato che, nel caso di specie, non sono applicabili i meccanismi di rettifica di cui agli artt. da 187 a 189 della direttiva 2006/112/CE e che spetta agli Stati membri determinarne le modalità, in applicazione dell’art. 186, saranno gli stessi Stati a dover stabilire la data in cui sorge l’obbligo di rettificare la detrazione dell’IVA indebita e il periodo in cui operare la stessa.

La scelta del dies a quo non può violare la certezza del diritto

Pur tuttavia, nell’ambito delle motivazioni contenute nella sentenza, si precisa che il dies a quo non può essere individuato, come nel caso dell’Amministrazione finanziaria lituana, nella data in cui il cessionario riceve la nota di credito con cui il cedente ha unilateralmente rettificato l’operazione, dal momento che, essendo trascorsi diversi anni dalla vendita, tale circostanza potrebbe costituire una violazione del principio della certezza del diritto (punto 53).