La Corte di Giustizia ritiene ammissibile il sistema sanzionatorio penale, chiedendo al giudice di verificare la proporzionalità delle sanzioni
La condotta di chi omette il versamento dell’IVA dovuta può comportare diverse sanzioni sia di natura amministrativa-tributaria, sia penale.
L’art. 13 del DLgs. 471/1997 prevede che possa essere comminata una sanzione pecuniaria fino al 30% dell’importo non versato. D’altra parte, ai sensi dell’art. 10-terdel DLgs. 74/2000 (come modificato dal DLgs. 128/2015) è punito con la reclusione da 6 mesi a 2 anni chiunque non versa, entro il termine per il versamento dell’acconto relativo al periodo d’imposta successivo, l’imposta sul valore aggiunto dovuta in base alla dichiarazione annuale, per un ammontare superiore a 250.000 euro.
In realtà le due fattispecie non sono del tutto sovrapponibili: perché l’illecito assuma rilevanza dal punto di vista penale è necessario che sia trascorso il termine “lungo” previsto dal citato art. 10-ter (“versamento dell’acconto relativo al periodo d’imposta successivo”), nonché che sia superata la soglia di punibilità di 250.000 euro. Anche in forza di tali distinzioni le Sezioni Unite hanno ritenuto che tra queste corresse un rapporto di “progressione criminosa” e che, pertanto, non fosse applicabile il principio di specialità, aprendo così la strada al cumulo di sanzioni (Cass. SS.UU. 37424/2013).
Con l’evoluzione della giurisprudenza internazionale in materia di “ne bis in idem”, la questione della legittimità di tale “cumulo” si è fatta sempre più stringente. Tale principio – come previsto dall’art. 4 del Prot. 7 della CEDU e dall’art. 50 della Cartadei Diritti fondamentali Ue – ha assunto un connotato sostanziale ed è stato ritenuto applicabile ai rapporti tra sanzioni amministrative e sanzioni tributarie.
In tale prospettiva, il Tribunale di Bergamo – con sentenza del 16 settembre 2015 – ha chiesto ai giudici comunitari di chiarire se fosse legittima la possibilità di celebrare un procedimento penale avente ad oggetto un fatto per cui il medesimo soggetto abbia riportato sanzione amministrativa irrevocabile.
Nel caso di specie, all’imputato era contestato, in qualità di titolare di una ditta individuale, l’omesso versamento dell’IVA risultante dalla dichiarazione relativa all’anno di imposta 2011, per un ammontare complessivo pari a 282 495,76 euro. Dopo la conclusione definitiva del procedimento amministrativo – con una sanzione pari a 84.748,74 euro, corrispondente al 30% del debito tributario – a carico del medesimo soggetto è stato avviato un procedimento penale per gli stessi fatti. In tale contesto, il giudice di merito ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre ai giudici di Lussemburgo la citata questione pregiudiziale.
La Corte – con sentenza relativa alla causa C-524/15 – innanzitutto, ricorda i criteri con cui una sanzione può essere qualificata “sostanzialmente penale”: il primo consiste nella qualificazione giuridica dell’illecito nel diritto nazionale, il secondo nella natura dell’illecito e il terzo nel grado di severità della sanzione in cui l’interessato rischia di incorrere. Evidente appare, inoltre, nel caso in esame che si tratti dello “stesso fatto” (idem).
Il cuore delle argomentazioni, tuttavia, è rappresentato dall’apertura verso alcune limitazioni del “ne bis in idem” (si veda “Sanzioni penali e amministrative cumulabili per IVA e reati finanziari” del 21 marzo 2018).
L’art. 50 della Carta va, infatti, letto in modo coordinato con l’art. 52, secondo cui eventuali limitazioni all’esercizio dei diritti e delle libertà riconosciuti dalla stessa Carta devono essere previste dalla legge e devono rispettare il contenuto essenziale di detti diritti e libertà; nel rispetto del principio di proporzionalità, possono essere apportate limitazioni a tali diritti e libertà solo qualora siano necessarie e rispondano effettivamente a finalità di interesse generale riconosciute dall’Unione o all’esigenza di proteggere i diritti e le libertà altrui.
Secondo la Corte Ue, nel caso dell’omessa IVA è pacifico che la possibilità di “cumulo” nel nostro ordinamento è prevista dalla legge, a condizioni fissate in modo tassativo, assicurando quindi che il diritto garantito dal suddetto art. 50 non sia rimesso in discussione in quanto tale.
Inoltre, la finalità di assicurare la riscossione integrale dell’IVA può essere qualificata come un obiettivo di interesse generale.
Riguardo al principio di proporzionalità, questo richiede che il cumulo di procedimenti e di sanzioni previsto da una normativa nazionale non superi i limiti di quanto idoneo e necessario al conseguimento degli scopi legittimi perseguiti dalla normativa di cui trattasi; fermo restando che, qualora sia possibile una scelta fra più misure appropriate, si debba ricorrere alla meno restrittiva e che gli inconvenienti causati non debbano essere sproporzionati rispetto agli scopi perseguiti.
La Corte di Giustizia ritiene, così, ammissibile il sistema sanzionatorio italiano che consente la somma tra sanzioni penali e tributarie. Spetta, però, al giudice nazionale accertare, in concreto, che l’onere risultante dall’applicazione della normativa nazionale e dal cumulo dei procedimenti e delle sanzioni che la medesima autorizza non sia eccessivo rispetto alla gravità del reato commesso.