L’informazione è resa non solo ai soci presenti ma anche ai terzi interessati

Il Tribunale di Milano, nella sentenza n. 10620/2017, ribadisce talune indicazioni giurisprudenziali in ordine alla valenza di eventuali informazioni “aggiuntive”fornite nel contesto dell’assemblea di approvazione del bilancio d’esercizio; precisazioni che destano perplessità in una parte della dottrina.

Si ricorda, in primo luogo, come costituisca orientamento consolidato e condivisibile quello secondo il quale il bilancio di esercizio di una società di capitali che violi i precetti di chiarezza, veridicità e correttezza dettati dall’art. 2423 comma 2 c.c. sia illecito (con conseguente nullità della deliberazione assembleare con cui sia stato approvato) non soltanto se la violazione determini una divaricazione tra il risultato effettivo dell’esercizio, o la rappresentazione complessiva del valore patrimoniale della società, e quello del quale il bilancio dà invece contezza, ma anche in tutti i casi in cui dal bilancio stesso e dai relativi allegati – compresa, ove esistente, la Relazione sulla gestione – non sia possibile desumere l’intera gamma delle informazioni che la legge vuole siano fornite per ciascuna posta (cfr., tra le altre, Cass. n. 4120/2016 e Cass. SS.UU. n. 27/2000).

Ai fini della verifica giudiziale del rispetto del canone legale della chiarezza, peraltro, possono assumere rilievo, “se adeguati”, anche i chiarimenti richiesti e forniti dagli amministratori nel corso della seduta assembleare che precede l’approvazione del bilancio (cfr. Cass. n. 8001/2004).
Ciò non perché tali chiarimenti divengano parte del documento di bilancio e, quindi, essi stessi oggetto della successiva delibera di approvazione (nonostante il verbale che li incorpora debba essere depositato nel Registro delle imprese ex art. 2435comma 1 c.c.), ma piuttosto perché possono essere in concreto idonei a fugare le incertezze connesse a poste di bilancio non chiare, in modo tale che l’originario difetto di chiarezza possa ritenersi rimosso e con esso l’interesse a far dichiarare la nullità della delibera di approvazione per violazione delle norme dirette a garantirne la chiarezza, essendosi già ottenuto, per effetto dei chiarimenti, quel livello di chiarezza esigibile per legge (cfr. Cass. n. 11554/2008).

In ogni caso, precisa la decisione in commento, la verifica del raggiungimento del grado di chiarezza esigibile deve avvenire anche alla luce dei seguenti elementi: l’importanza della posta contestata, sia ai fini del risultato dell’esercizio che in comparazione con le altre voci; la tipologia di operazione contabilizzata nella posta oggetto di censure (ad esempio, perché compiuta con parte correlata); il fatto che comunque l’informazione di bilancio è resa non solo ai soci presenti in assemblea ma alla generalità dei terzi interessati a relazionarsi economicamente con la società (onde nessun rilievo può avere la scienza privata di alcune circostanze in capo al socio); il fondamentale canone di chiusura dettato dall’art. 2423 comma 3 c.c., ai sensi del quale, se le informazioni richieste da specifiche disposizioni di legge non sono sufficienti a dare una rappresentazione veritiera e corretta, si devono fornire le informazioni complementari necessarie allo scopo.

In dottrina, peraltro, è stato osservato quanto segue: l’adeguatezza dell’informazione in assemblea dovrebbe essere valutata anche in relazione alla cultura contabile del socio; i chiarimenti in assemblea non fanno comunque venire meno la cancellazione del periodo di riflessione riconosciuto dall’obbligo di preventivo deposito della documentazione presso la sede sociale ex art. 2429 comma 3 c.c.; la valenza generale di tali chiarimenti contraddice l’importanza della collocazione legale delle informazioni, introducendo un discutibile onere di controllo di tutta la documentazione, magari estremamente complessa.

Ad ogni modo, a fronte delle ricordate indicazioni, la decisione in commento osserva come la rilevanza di un credito svalutato e della relativa posta nel bilancio della società (tale per cui la svalutazione causa quasi il 90% della perdita dell’esercizio), e la natura di parti correlate dei debitori, comportino una particolare esigenza di motivazione, rendendo fondamentale per l’organo amministrativo chiarire, in Nota integrativa o anche in assemblea, innanzitutto perché quel credito sia stato considerato inesigibile. Diversamente, il bilancio è privo della necessaria chiarezza e la relativa delibera di approvazione è nulla.

Mancanza di chiarezza (e conseguente nullità) che è da riscontrare anche in relazione a un’appostazione a debito di somme pretese da un non meglio identificato amministratore per non meglio identificati esercizi pregressi. Infatti, il dovere di prudenza imposto dalla legge ai redattori del bilancio non significa certo che qualunque pretesa di terzi, sia pur proveniente da un amministratore e tradottasi in una richiesta scritta, comporti il dovere contabile di iscrivere tale importo al passivo.
Occorre piuttosto che si effettui, dandosene conto, una valutazione su esistenza e fondatezza di quel credito, all’esito della quale, il risultato potrebbe essere anche una sua contabilizzazione solo parziale in apposito fondo rischi. Ma di tutto ciò non vi era alcuna traccia né in Nota integrativa, né nelle dichiarazioni rese in sede assembleare.