Per la Provinciale di Reggio Emilia, il risparmio d’imposta non è necessariamente indebito

La sentenza n. 12/2/18 della Commissione tributaria provinciale di Reggio Emilia, depositata ieri, fornisce l’occasione per ritornare nuovamente sulla questione relativa alla deducibilità dei canoni di locazione, ad opera dei professionisti, versati a società dagli stessi partecipate che, a loro volta, hanno acquistato l’immobile in leasing, operazione economica che, nel caso di specie, è stata ritenuta non integrante un abuso del diritto.

Nella vicenda in esame, un lavoratore autonomo aveva costituito assieme alla madre una società la quale, a sua volta, aveva acquisito in leasing un fabbricato.
Quest’ultimo, seppur in parte, veniva concesso in locazione al medesimo soggetto, che vi svolgeva la propria attività professionale e i cui canoni, “ribaltati” dalla società, venivano da lui dedotti.
Da qui la contestazione dell’Amministrazione finanziaria, che riteneva l’intera operazione economica realizzata aggirando i limiti di deducibilità imposti dall’art. 54 comma 2 del TUIR e, conseguentemente, integrando un abuso del diritto ai sensi dell’art. 10-bis della L. 212/2000.

Preme evidenziare come, sul punto, la giurisprudenza non abbia raggiunto, anche in ragione della casistica variegata, un orientamento univoco: a favore della deducibilità, si sono espresse la C.T. Reg. Ancona 30 ottobre 2017 n. 536/6/17 e la C.T. Reg. Venezia 24 ottobre 2016 n. 1141/12/16, mentre, in senso opposto, la Cassazione 14 marzo 2013 n. 6528, riferita però a un contesto antecedente all’art. 10-bis della L. 212/2000.

Costituisce abuso del diritto un’operazione che, essendo priva di una sostanza economica, è posta in essere con l’unico scopo di ottenere un vantaggio d’imposta indebito, in violazione delle norme fiscali o con i principi dell’ordinamento giuridico.
L’operazione economica comportava che, da un lato, la società avesse dedotto, nella determinazione del reddito d’impresa, i canoni di locazione finanziaria e, dall’altro, il contribuente avesse dedotto, nella determinazione del reddito di lavoro autonomo, i canoni di locazione pagati alla società locatrice.
Da ciò sarebbe scaturita la violazione dell’art. 54 del TUIR, che ha previsto, a seconda dei periodi d’imposta e delle varie modifiche di legge intervenute negli anni, l’indeducibilità o la deducibilità parziale dei canoni di locazione nel reddito da lavoro autonomo e, dunque, il recupero a tassazione.

L’iter logico seguito dai giudici tributari emiliani esordisce affermando che l’operazione economica posta in essere è fornita di una piena sostanza economica, a nulla rilevando che la ricorrente fosse anche socia della società locatrice.
I vantaggi fiscali ottenuti, come si evidenzia in sentenza, non vengono giudicati indebiti.

Risparmio legittimo anche per il comma 4 dell’art. 10-bis della L. 212/2000

Infatti, posto che la deduzione dei canoni di locazione è ammessa sia nella normativa fiscale che regola la quantificazione del reddito d’impresa sia in quella, con medesime finalità, per il reddito da lavoro autonomo, non si comprende a quale titolo il trattamento fiscale del costo locativo immobiliare debba essere trattato diversamente a seconda della “proprietà” della società locatrice.

La condotta del professionista risulta, inoltre, in linea con quanto disposto al quarto comma dell’art. 10-bisdella L. 212/2000, a mente del quale resta ferma la libertà di scelta del contribuente tra regimi opzionali diversi offerti dalla legge e operazioni comportanti un diverso carico fiscale.
Pur essendoci stato un effettivo risparmio fiscale, il vantaggio conseguito non risulterebbe indebito, posto che è lo stesso ordinamento a permettere di scegliere la via meno onerosa per ottenere la disponibilità degli uffici in cui svolgere il proprio lavoro.