La Cassazione ha ribadito la responsabilità per il reato di cui all’art. 5 del DLgs. 74/2000

Di Maria Francesca ARTUSI

La “stabile organizzazione” di un’impresa nello Stato italiano rende applicabile la disciplina in materia di IVA ai sensi del DPR 633/1972 e, conseguentemente, permette l’integrazione del reato di omessa dichiarazione ex art. 5 del DLgs. 74/2000.
Laddove, infatti, ricorrano il requisito oggettivo dell’esercizio abituale di un’attività commerciale e quello territoriale della stabilità in Italia di un’organizzazione del soggetto non residente, è la stessa entità organizzativa situata sul territorio nazionale a costituire l’unico centro di imputazione fiscale: essa è, pertanto, tenuta al rispetto dei doveri formali di fatturazione delle operazioni attive e di registrazione delle fatture passive, nonché alla presentazione della dichiarazione annuale.

La Corte di Cassazione – nella sentenza n. 2407 depositata ieri – riprende tali principi nell’ambito di un sequestro di circa 8.500.000 di euro nei confronti di un cittadino italiano, legale rappresentante e socio unico di una società tedesca. Tale società, pur avendo formalmente la sede in un altro Paese membro dell’Ue, risultava avere il proprio centro operativo e decisionale in Italia, ove svolgeva l’oggetto principale della propria attività per mezzo di una srl.

Il giudice di merito, nell’ordinare il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per il reato di omessa dichiarazione, aveva ritenuto sussistenti i requisiti di una “esterovestizione” (o meglio di una “stabile organizzazione”), nel senso che tale ente svolgeva in Italia la gestione amministrativa e la programmazione di tutti gli atti necessari affinché fosse raggiunto il fine sociale.
Il procedimento aveva preso avvio da una verifica fiscale IVA che, muovendo dagli accertamenti disposti nei confronti di altra società italiana, investivano la società tedesca dell’imputato, facendo emergere che quest’ultimo era anche socio di maggioranza di una srl esercente la medesima attività (commercio all’ingrosso di legname e semilavorati) e che la società straniera aveva un volume di vendite in Italia di svariati milioni, che rappresentavano una cifra tra il 94 e il 100% del proprio fatturato.

Come già precisato dalla giurisprudenza penale maggioritaria, l’obbligo di presentazione della dichiarazione annuale IVA da parte di società avente residenza fiscale all’estero sussiste se questa ha stabile organizzazione in Italia: “stabile organizzazione” che deve essere desunta da elementi fattuali rilevanti ai fini dell’accertamento della presenza in Italia della sede delle decisioni strategiche, industriali e finanziarie (c.d. alta amministrazione), nonché di quelle più rilevanti dell’amministrazione della società o, in altri termini, della conduzione in Italia dell’attività costituente l’oggetto sociale della medesima (Cass. n. 21959/2017).

La “stabile” dev’essere desunta da elementi fattuali

Gli elementi fattuali che emergevano, nel caso di specie, riguardavano: la realizzazione della quasi totalità del fatturato in Italia; la stipula in Italia dei contratti con i clienti italiani; l’accensione nel nostro Paese di conti correnti bancari su cui confluivano gli incassi delle cessioni del legname; il rinvenimento in Italia, presso la srl che faceva capo allo stesso proprietario, di tutta la documentazione contabile, bancaria e commerciale riferita alla società tedesca.
Oltre a ciò, era emerso che la società straniera non risultava disporre di alcun dipendente avvalendosi di quelli formalmente assunti dalla sua “gemella” italiana.

Nel ricorso presentato alla Cassazione veniva, inoltre, ventilata la necessità di fare riferimento alla cooperazione tra autorità fiscali ai sensi del regolamento europeo 904/2010, che disciplina la richiesta di informazioni che le autorità fiscali di uno Stato devono rivolgere a quelle di altro Paese UeE ove ha sede il soggetto giuridico tenuto al pagamento dell’imposta sul valore aggiunto.
I giudici di legittimità, tuttavia, ritengono superfluo tale richiamo in quanto, nel caso in esame, tutte le cessioni poste in essere dalla società tedesca, anziché essere ipotetiche operazioni intracomunitarie, risultavano poste in essere da soggetti operanti sul territorio nazionale con soggetti italiani e, in quanto tali, assoggettabili unicamente all’IVA in Italia: la stessa documentazione necessaria per gli accertamenti fiscali era stata rinvenuta – come si è detto – in Italia.

Per quanto riguarda, dunque, l’integrazione del reato di omessa dichiarazione viene ricordato che l’obbligo di presentazione della dichiarazione annuale dei redditi da parte di una società commerciale avente sede legale all’estero, ma operante in Italia, non sussiste quando la sede della direzione effettiva della società non è sita nel territorio italiano, atteso anche quanto previsto dalle norme internazionali contro le doppie imposizioni fiscali (Cass. n. 26728/2015).

Né si può porre, in tale prospettiva, un tema di elusione fiscale (o di abuso del diritto) in quanto viene violata direttamente una norma penal-tributaria: l’art. 5 del DLgs. 74/2000 che sanzione autonomamente l’omissione della presentazione della dichiarazione.