Secondo la Cassazione i sindaci sono responsabili nonostante le dimissioni
La Cassazione, nella sentenza n. 31204/2017, si sofferma su diversi profili attinenti alla responsabilità di amministratori e sindaci di spa a cavallo tra la vecchia e la nuova disciplina.
Con riguardo agli aspetti che sicuramente rilevano anche in relazione alla disciplina vigente, si evidenzia, innanzitutto, come la pronuncia delle Sezioni Unite n. 1641/2017 abbia precisato che il curatore fallimentare, quando agisce postulando indistintamente la responsabilità degli amministratori, fa valere sia l’azione che spetterebbe alla società, in quanto gestore del patrimonio dell’imprenditore fallito, sia le azioni che spetterebbero ai singoli creditori, considerate però quali “azioni di massa” in ragione dell’art. 146del RD 267/1942.
L’azione di responsabilità sociale, ex art. 2393 c.c., ha natura contrattuale e presuppone un danno prodotto alla società da ogni illecito doloso o colposo degli amministratori per violazione di doveri imposti dalla legge e dall’atto costitutivo; l’azione di responsabilità verso i creditori sociali, ex art. 2394 c.c., ha natura extracontrattuale e presuppone l’insufficienza patrimoniale cagionata dall’inosservanza di obblighi di conservazione del patrimonio sociale.
Tale principio, precisa ora la Suprema Corte, vale anche per le azioni di responsabilità contro gli amministratori e i sindaci di un’impresa in liquidazione coatta amministrativa, che, ai sensi dell’art. 206del RD 267/1942, sono esercitate dal Commissario liquidatore, previa autorizzazione dell’autorità che vigila sulla liquidazione.
Si sottolinea, inoltre, come l’inadempimento ai doveri della carica gestoria e sindacale sia il presupposto anche dell’azione intrapresa dai creditori sociali. Questi, infatti, possono agire se il patrimonio sociale sia insufficiente a soddisfarli e solo a condizione che, nel contempo, quell’insufficienza sia conseguenza delle condotte degli organi sociali in violazione ai doveri della carica. A conferma di ciò vale il fatto che neppure verso i creditori si pone una responsabilità oggettiva, occorrendo pur sempre una condotta almeno negligente dell’amministratore o del sindaco, accanto all’insufficienza patrimoniale.
Pertanto, ogni violazione che integra la responsabilità verso la società è idonea, quando cagiona o concorre a cagionare una diminuzione del patrimonio rendendolo insufficiente, a fondare anche la responsabilità exart. 2394 c.c.
L’insufficienza patrimoniale ivi prevista rappresenta un mero fatto contabile che si registra in presenza di un’eccedenza delle passività sulle attività, ovvero una situazione in cui l’attivo sociale, raffrontato ai debiti, è insufficiente alla relativa soddisfazione (cfr., tra le altre, Cass. n. 9619/2009).
La prescrizione di tale azione inizia a decorrere, sia per gli amministratori che per i sindaci, dal momento in cui tale situazione si sia manifestata in modo “oggettivamente percepibile”. Non si tratta di aprire la strada a un soggettivismo psicologico, ma di una valutazione astratta di conoscibilità: non un mero fatto soggettivo di conoscenza del danno da parte del titolare dell’azione, ma un’attribuzione di rilievo al dato oggettivo della sua conoscibilità da parte dei terzi creditori, posti così nella condizione di poter esercitare il proprio diritto. E la verifica della ricorrenza di elementi oggettivi, conoscibili dai creditori, dai quali risulti l’insufficienza del patrimonio sociale, è questione di fatto tipicamente rimessa all’accertamento del giudice del merito (cfr. Cass. n. 8426/2013).
A fronte di ciò – e dopo aver ricordato le principali ricostruzioni della giurisprudenza di legittimità in ordine all’individuazione del momento della conoscibilità in questione – si osserva come la lettura del bilancio societario, per quanto scrupolosa, potrebbe non fornire reale contezza dell’insufficienza patrimoniale, neppure quando esso presenti una perdita. Si pensi, ad esempio, alla disciplina dei crediti, connotata da una valutazione fortemente influenzata dalla loro concreta esigibilità, che non sempre emerge fedelmente dal bilancio (cfr. Cass. n. 5450/2015).
Con specifico riguardo ai sindaci, infine, la Suprema Corte osserva come in una vicenda caratterizzata dall’agire degli amministratori senza il rispetto dei principi di corretta gestione, protrattosi nel tempo, la responsabilità dei controllori risieda già nel fatto di non averne rilevato le macroscopiche violazioni o, comunque, nel non avere in alcun modo reagito ad esse.
In particolare, si riconosce la correttezza della decisione di merito sulla responsabilità dei sindaci che, nonostante il riscontro di irregolarità da parte della competente autorità di vigilanza, non si erano poi attivati, informandone l’assemblea o denunziando la situazione al PM (ovvero, oggi, direttamente al Tribunale).
Altrettanto correttamente – precisa la sentenza in commento – le dimissioni e la segnalazione al CdA delle anomalie sono state reputate insufficienti al fine di esonerare da responsabilità, in quanto non integranti adeguata vigilanza sullo svolgimento dell’attività sociale.
E conforme ai principi è stata considerata anche l’irrilevanza attribuita al fatto che taluni non fossero in carica al momento delle condotte illecite, dal momento che, una volta conosciute (o conoscibili), non provvidero ad adottare le necessarie iniziative.