La legge, pubblicata ieri in G.U., dispiega interamente i suoi effetti solo nelle imprese che hanno adottato i modelli di organizzazione previsti dalla 231

Di Luca NEGRINI

È stata pubblicata ieri, 14 dicembre 2017, sulla Gazzetta Ufficiale la legge 30 novembre 2017 n. 179, contenente disposizioni per la tutela degli autori di segnalazioni di reati o irregolarità di cui siano venuti a conoscenza nell’ambito di un rapporto di lavoro pubblico o privato.

Il testo, comunemente indicato come legge sul “whistleblowing” secondo una terminologia di origine anglosassone, regola distintamente la materia per il settore del pubblico impiego e per quello privato. Al primo è dedicato il nuovo art. 54-bis del DLgs. 165/2001, mentre per il settore privato il legislatore ha scelto di innovare la disposizione di cui all’art. 6 del DLgs. 231/2001 in materia di responsabilità amministrativa delle persone giuridiche.

Di conseguenza, per quanto riguarda le aziende private, la scelta di intervenire sul DLgs. 231/2001 riduce il campo di piena applicazione delle nuove disposizioni, che spiegano interamente i loro effetti solo in quelle imprese che hanno liberamente adottato i modelli di organizzazione previsti dalla disciplina sulla responsabilità amministrativadelle persone giuridiche. Se l’impresa non ha un modello organizzativo, in particolare, non saranno applicabili le norme di cui alle lettere a) e b) del nuovo comma 2-bisdell’art. 6 del DLgs. 231/2001, secondo le quali i modelli devono prevedere canali per effettuare segnalazioni circostanziate di condotte illecite che garantiscano la riservatezza dell’identità del segnalante.

Analogo discorso vale per la lettera d) del comma 2-bis, secondo cui il sistema disciplinare diretto a sanzionare il mancato rispetto delle misure previste dal modello organizzativo deve prevedere “sanzioni nei confronti di chi viola le misure di tutela del segnalante, nonché di chi effettua con dolo o colpa grave segnalazioni che si rivelano infondate”.
In questo caso, però, le imprese che adottano un modello organizzativo corredato dal relativo apparato sanzionatorio dovranno tenere conto del consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui la denuncia di fatti di potenziale rilievo penale accaduti nell’azienda può integrare giusta causa o giustificato motivo di licenziamento solo a condizione che emerga il carattere calunnosio della denuncia medesima, per cui è necessaria la consapevolezza da parte del lavoratore della non veridicità di quanto denunciato (da ultimo in questo senso Cass. n. 22375/2017).

Il modello organizzativo dovrà, quindi, prevedere solo sanzioni disciplinari di carattere conservativo a carico del lavoratore che effettua una segnalazione infondata per colpa grave, riservando la sanzione del licenziamento esclusivamente ai casi in cui la segnalazione sia effettuata con dolo, per non porsi in contrasto con la giurisprudenza di cui si è detto, dal momento che anche se la colpa per la segnalazione infondata è grave, manca pur sempre la consapevolezza della non veridicità del fatto denunciato.

Per quanto riguarda le altre disposizioni, di cui alla lettera c) del comma 2-bis e ai successivi commi 2-ter e 2-quater, valgono considerazioni in parte diverse, che portano a ritenere che i principi contenuti in tali disposizioni abbiano una portata più ampia, che travalica l’ambito delle imprese che adottano modelli organizzativi, valendo per qualsiasi impresa privata.

Questo vale almeno per la lettera c) del comma 2-bis, che vieta atti di ritorsione o discriminatori nei confronti dell’autore della segnalazione, così come per la prima parte del comma 2-quater, che prevede la nullità del licenziamento, del mutamento di mansioni o di qualsiasi altra misura ritorsiva o discriminatoria adottata nei confronti del segnalante. Nel vietare atti ritorsivi o discriminatori, queste disposizioni si rifanno a principi generali che possono essere ricavati tanto dall’art. 1345 c.c. sul motivo illecito determinante, quanto dalle disposizioni della L. 300/1970, che all’art. 15 si occupa degli atti discriminatori in generale ed al comma 1 dell’art. 18 delle conseguenze delle nullità del licenziamento discriminatorio o ritorsivo. Pertanto, sono sicuramente affetti da nullità atti discriminatori o ritorsivi posti in essere nei confronti di chi abbia segnalato ad un’autorità pubblica un illecito commesso dal proprio datore di lavoro, anche se questi non ha adottato un modello organizzativo, ai sensi del DLgs. 231/2001.

Sembra doversi escludere, invece, stante il carattere specifico delle disposizioni, che in assenza di un modello organizzativo possa essere applicata la seconda parte del comma 2-quater, che ha introdotto a carico del datore di lavoro l’onere di dimostrare che i provvedimenti adottati, se hanno effetti negativi nei confronti del segnalante, sono fondati su ragioni estranee alla segnalazione, qualora venga promossa una controversia per contestare tali misure organizzative. Analogamente, è da escludere che possa essere esteso fuori dal campo di applicazione dell’art. 6 del DLgs. 231/2001 il comma 2-ter, che prevede una specifica denuncia all’Ispettorato del Lavoro di eventuali misure discriminatorie nei confronti del segnalante.