La Corte costituzionale dichiara inammissibile la questione di legittimità sulla proroga del termine senza entrare nel merito dei temi sollevati

Di Maria Francesca ARTUSI

Al pagamento del debito tributario sono sempre stati connessi benefici anche dal punto di vista degli aspetti penali dell’illecito fiscale. Ciò proprio per incentivare il contribuente alla regolarizzazione della posizione nei confronti dell’Erario.
Tuttavia, il procedimento e la rilevanza penale rimanevano autonomi rispetto a tale possibile regolarizzazione.

Con il DLgs. 158/2015 è stata, invece, introdotta una vera e propria causa di non punibilità per alcuni reati fiscali legata all’integrale pagamento del debito tributario (inclusi interessi e sanzioni).
Tale pagamento può anche avvenire a seguito delle speciali procedure conciliative e di adesione all’accertamento previste dalle norme tributarie, nonché del ravvedimento operoso. Detto istituto ha natura evidentemente incentivante e premiale e si inscrive nell’ottica di una politica criminale e fiscale volta maggiormente alla tutela del bene giuridico protetto (il corretto gettito fiscale) piuttosto che alla punizione per i trasgressori.

Il legislatore prevede un termine perentorio per la corresponsione di quanto dovuto all’Erario: il pagamento deve avvenire integralmente prima dell’apertura del dibattimento di primo grado. Viene, però, anche previsto (al comma 3 dell’art. 13) che, se prima dello spirare di tale termine, il debito tributario fosse in fase di estinzione mediante rateizzazione, vengono concessi (obbligatoriamente) tre mesi ulteriori per il pagamento del residuo. A tale termine può essere sommata una proroga di altri tre mesi, discrezionale e motivata del giudice (“qualora lo ritenga necessario”).

Proprio sulla previsione di quest’ultima proroga è stata posta una questione di legittimità costituzionale nella parte in cui è ammessa la facoltà del giudice di prorogare il termine normativo di tre mesi una sola volta e per non oltre tre mesi e non consente, invece, almeno in determinati casi, di concedere un termine più lungo, coincidente con lo scadere del piano di rateizzazione (Trib. Treviso 23 febbraio 2016).

La Corte costituzionale ha dichiarato inammissibile tale questione con un’ordinanza depositata ieri, la n. 256/2017. In realtà, la Consulta non entra nel merito della questione, essendo l’inammissibilità fondata su elementi principalmente procedurali; da ciò deriva che la tematica resta ancora aperta e offre spunti di riflessione al legislatore rispetto al rapporto tra procedimento penale e procedimento tributario.
Va anche detto che le medesime criticità sono state nuovamente sollevate dallo stesso Tribunale di Treviso con ordinanza del 18 maggio 2017 e dal Tribunale di Asti con ordinanza del 7 giugno 2017, su cui ancora si attende una pronuncia dei giudici costituzionali.

Gli aspetti dibattuti riguardano essenzialmente il fatto che, talvolta, le procedure di adesione consentono una rateizzazione anche quadriennale del debito tributario e che i termini di dilazione possono prolungarsi anche per un periodo maggiore. In tal senso, il termine semestrale previsto dalla norma penale obbligherebbe, di fatto, il contribuente a rinunciare a quei termini dilatati di pagamento che, invece, sono consentiti dalla disciplina tributaria.
Altra variabile è rappresentata dalle tempistiche connesse all’azione penale: se questa viene esercitata “con ritardo”, il reo avrà più tempo per il piano di rateizzazione, creando così una possibile incertezza.

Viene, inoltre, evidenziata la differenza di trattamento nei confronti di coloro il cui piano di rateizzazione rientra nell’alveo di un concordato preventivo con conseguente immodificabilità delle tempistiche di pagamento. L’omologazione del concordato comporta, infatti, il dovere di attenersi a quanto stabilito in ordine alla distribuzione tra i creditori e rende impossibile la scelta di anticipare il pagamento all’Erario per usufruire della causa di non punibilità.

In proposito, può essere utile ricordare che la Cassazione si è già pronunciata affermando la necessità di concedere il termine di tre mesi per le ipotesi di rateizzazione anche nei casi in cui il dibattimento sia già iniziato nel momento dell’entrata in vigore del DLgs. 158/2015.

La Cassazione si è già pronunciata

Il principio di uguaglianza, che vieta trattamenti differenti per situazioni uguali, impone, infatti, di ritenere che, sotto il profilo sostanziale, il pagamento del debito tributario assuma la medesima efficacia estintiva sia che avvenga prima della dichiarazione di apertura del dibattimento, sia che avvenga – solo per i procedimenti già in corso – dopo tale limite, purché anteriormente alla sentenza definitiva (Cass. nn. 40314/2016 e 52640/2017).

Attendendo, dunque, ulteriori pronunce della Consulta, non può che prendersi atto del difficile coordinamento tra i diversi procedimenti, soprattutto laddove diritto penale e diritto tributario si intersecano necessariamente.