Il Tribunale di Milano ha stabilito, tra l’altro, l’applicabilità dell’art. 2388 c.c. alle srl

Di Antonio FLORIO e Maurizio MEOLI

La deliberazione con cui il CdA di una srl revoca i poteri di firma unica all’amministratore delegato, conferendogli quelli di firma congiunta con il Presidente dell’organo consiliare, può essere impugnata dallo stesso amministratore (che, nella specie, al momento della domanda non era più tale) qualora sia stata assunta in contrasto con la procedura del “consenso espresso per iscritto”.
Sono queste le indicazioni che emergono dalla lettura della sentenza del 5 luglio 2017 n. 7537 del Tribunale di Milano.

Nel caso di specie, l’ex amministratore delegato/dipendente di una srl agiva in giudizio ai fini dell’annullamento della delibera di cui sopra, sottolineando come la stessa fosse stata adottata in palese violazione alle norme di legge e dello statuto previste per l’assunzione delle deliberazioni.
A fronte delle resistenze della società, che aveva eccepito in prima battuta l’inammissibilità di un’impugnazione di questo tipo, il Tribunale affermava l’applicabilità dell’art. 2388 c.c. (norma relativa alle spa) anche nel caso delle delibere assunte dal CdA delle srl.
Più in particolare, una siffatta posizione va a innestarsi su una corrente giurisprudenziale che approva l’applicazione analogica alle srl dell’art. 2388 c.c., in quanto da considerare espressione di un principio generale di sindacabilità – a iniziativa degli amministratori assenti o dissenzienti ovvero dei soci – delle decisioni dell’organo amministrativo di società di capitali contrarie alla legge o allo statuto (cfr. App. Milano 1° aprile 2016 n. 1279 e Trib. Milano 27 febbraio 2013).

Pertanto, può ritenersi che lo scenario dell’impugnabilità delle delibere dell’organo consiliare di srl goda di uno strumento ulteriore rispetto all’art. 2475-ter c.c., che contempla l’ipotesi di impugnazione delle decisioni adottate dal CdA con il voto determinante di un amministratore in conflitto di interessi con la società, qualora le cagionino un danno patrimoniale.
Tra l’altro, rispetto alla posizione del ricorrente, che prima dell’instaurazione della causa era stato revocato dall’incarico gestionale della società e licenziato dal Presidente del CdA, doveva ritenersi permanente il suo interesse ad agire, in quanto, mediante l’eventuale annullamento della delibera contestata, avrebbe potuto dimostrare, all’interno della già instaurata controversia giuslavoristica, la carenza di poteri del Presidente del CdA rispetto alla decisione di licenziarlo.

In merito ai profili di invalidità della delibera impugnata, il Tribunale richiamava l’attenzione su alcune disposizioni statutarie, secondo cui:
– le decisioni del CdA, in aggiunta alla consultazione collegiale, potevano essere adottate, assicurando agli aventi diritto la partecipazione alla decisione, anche mediante la consultazione scritta o sulla base del consenso espresso per iscritto;
– la procedura di consultazione scritta o di acquisizione del consenso espresso per iscritto dovevano concludersi entro 30 giorni, o in un termine diverso appositamente indicato nel testo della decisione proposta.

A fronte di ciò, il ricorrente lamentava le circostanze secondo cui il Presidente del CdA non gli avesse trasmesso la proposta della delibera da assumere in forma scritta e che, in mancanza di una diversa indicazione del termine entro il quale prestare il consenso, non avesse atteso la maturazione dei 30 giorni per considerare concluso il procedimento deliberativo.
La società ribatteva affermando che il termine massimo previsto dallo statuto doveva intendersi quale termine ultimo per il valido “raggiungimento della maggioranza” richiesta. Pertanto, alla luce di una maggioranza intervenuta prima dei 30 giorni, il diritto di voto degli amministratori doveva ritenersi già “consumato” e la delibera adottata. Si poteva, così, trascurare il mancato coinvolgimento del ricorrente che, comunque, non avrebbe potuto, con il suo voto, sovvertire l’esito della delibera.

Alla luce di tali argomentazioni, il Tribunale riteneva che l’omessa trasmissione al ricorrente della proposta della delibera da assumere in forma scritta implicasse l’invalidità della delibera stessa. Ciò in quanto dalle succitate disposizioni statutarie traspariva il doveroso coinvolgimento di tutti gli aventi diritto alle procedure alternative alla consultazione collegiale. Pertanto, ai fini di una legittima formazione della volontà dell’organo collegiale, doveva procedersi alla consultazione di tutti i suoi componenti, cui, in ogni caso, spettava il diritto/dovere di esprimere (nella specie, con dichiarazione scritta) la propria decisione ai fini della statuizione collegiale.

Quanto poi all’inosservanza del termine di deliberazione, il Tribunale precisava che se ne doveva attendere la puntuale decorrenza. Infatti, tenuto conto della doverosità del coinvolgimento, ai fini della deliberazione, di tutti i membri del CdA, non si poteva dare per scontato che una minoranza, nel corso del processo deliberativo, e, quindi, entro la decorrenza del termine finale, non potesse indurre gli altri componenti dell’organo a rivedere le proprie posizioni inizialmente espresse.
Sulla base di queste precisazioni, dunque, la delibera del CdA veniva annullata.