L’individuazione dei rischi e il sistema sanzionatorio sono essenziali per un modello organizzativo

Di Maria Francesca ARTUSI

Un modello organizzativo adeguato ai fini dell’esclusione della responsabilità di una società o di un ente deve necessariamente prevedere un codice etico, un’individuazione specifica dei reati da prevenire, delle procedure funzionali alla prevenzione di tali reati e alla conoscenza del modello stesso da parte di tutti i destinatari, nonché un sistema sanzionatorio per la violazione delle regole in esso previsto.

Tali requisiti sono precisati dall’art. 6 comma 2 del DLgs. 231/2001, secondo cui il modello deve contenere: l’individuazione delle attività nel cui ambito possono essere commessi reati; specifici protocolli diretti a programmare la formazione e l’attuazione delle decisioni dell’ente in relazione ai reati da prevenire; modalità di gestione delle risorse finanziarie idonee ad impedire la commissione dei reati; obblighi di informazione nei confronti dell’OdV deputato a vigilare sul funzionamento e sull’osservanza dei modelli; un sistema disciplinare idoneo a sanzionare il mancato rispetto delle misure indicate nel modello.

In mancanza di tale strutturazione, l’adozione di un modello conforme ai criteri di certificazione ISO UNI EN 9001 non può essere ritenuta sufficiente. Quest’ultimo, infatti, è principalmente incentrato sulla valutazione della qualità del lavoro e sulla prevenzione degli infortuni e, per tale ragione, la Corte di Cassazione ha recentemente ribadito che una tale certificazione non possa valere ad esimere l’ente dalla responsabilità per i reati presupposto contro la Pubblica Amministrazione (Cass. n. 41768 depositata il 13 settembre scorso).

Si tratta di un caso di corruzione, truffa per il conseguimento di erogazioni pubbliche e associazione per delinquere che coinvolge alcuni esponenti politici della Regione Puglia e gli amministratori di due società, operanti nel settore dei lavori socialmente utili. Riguardo a questi ultimi, la Corte d’Appello di Bari aveva evidenziato come il loro operato fosse volto a “conseguire illecitamente vantaggi in via assolutamente prevalente a favore degli enti da essi rappresentati formalmente o di fatto”.

Entrambe le società “imputate” avevano adottato un sistema ISO 9001 antecedente ai fatti di reato, nonché un modello organizzativo predisposto da una nota società di consulenza in data successiva alla commissione degli illeciti. Il primo – come si è già detto – non può essere ritenuto equivalente ad un modello “231”; mentre il secondo, oltre ad essere successivo ai reati (e dunque rilevante eventualmente solo come circostanza attenuante), “non conteneva, tra l’altro, né il codice di comportamento e le relative procedure, né il codice etico, né le procedure per la conoscenza dei modelli, né il sistema sanzionatorio”.

Una peculiarità del caso in esame riguarda il fatto che la contestazione dell’illecito viene riferita a società non più operative: una è stata, infatti, oggetto di una successione universale derivante da una fusione per incorporazione, l’altra si è trasformata da società per azioni in società a responsabilità limitata. Non è pertanto agevole comprendere a quali enti fare riferimento anche in relazione ai profili di inefficacia o inefficienza del modello organizzativo (oltre che all’interesse e al vantaggio connessi al reato).

Secondo la Cassazione, gli illeciti amministrativi devono essere riferiti, nelle imputazioni, alle società originariamente responsabili e non necessariamente anche agli enti subentrati in caso di trasformazione, fusione (anche per incorporazione) o scissione. Per questi ultimi rileverà unicamente la corretta instaurazione del contraddittorio (cfr. art. 70 del DLgs. 231/2001). Sempre agli enti “originari” viene contestato il fatto di non aver previsto, adottato ed attuato alcun adeguato modello di organizzazione e di gestione idoneo a prevenire quanto verificatosi.

Ad aggravare la situazione viene rilevata una strettissima commistione tra le due società, tanto che ad una sono addebitabili anche gli illeciti immediatamente riferibili all’altra. Tra esse esisteva, infatti, “una costante frammistione di contabilità, di forze lavoro, di dirigenza, di sedi sociali”.
Per quanto riguarda l’interesse o il vantaggio degli enti, non assume efficacia preclusiva della responsabilità ex DLgs. 231/2001 il conseguimento di utili personali da parte delle persone fisiche o dell’associazione criminosa. Per i giudici di legittimità, il “vantaggio” non è individuabile esclusivamente nella percezione di denaro e nell’aumento del volume d’affari, ma anche in un indiscutibile indiretto vantaggio consistito nell’acquisizione di privilegio o di predominio diretto sul mercato. Ciò avviene – come nel caso di specie – quanto il sistema di corruzione e di truffe procuri all’ente un vantaggio economico derivante sia dalla conclusione di contratti con la Pubblica Amministrazione, sia dalla illecita prosecuzione di contratti preesistenti.

La sentenza n. 41768 è, comunque, da segnalare anche per alcune precisazioni in relazione all’ammissibilità della disciplina delle intercettazioni nei confronti dell’ente, nonché alla legittimità della disciplina derogatoria di cui al DLgs. 231/2001 rispetto a quella della prescrizione penale.