In alternativa, è possibile sollevare la questione di legittimità costituzionale della norma

Di Alberto CALZOLARI

A causa dell’emergenza COVID-19 molti dei diritti fondamentali, fissati nella Costituzione, sono stati compressi: dalla libertà di circolazione (ex art. 16 Cost.) alla libertà di riunione (art. 17), dalla libertà di culto (art. 19) alla libertà d’iniziativa economica (art. 41). Contemporaneamente anche l’attività giurisdizionale (salvo eccezioni) è stata sospesa, come pure sospeso è risultato il diritto di voto dei cittadini. Le attività economiche sono state fortemente discriminate, a seconda del settore d’appartenenza a molti soggetti è stata preclusa la possibilità di operare, mentre chi ha potuto continuare a esercitare la propria professione ha comunque conosciuto limitazioni stringenti: nell’approvvigionamento di merci e servizi, nelle modalità di svolgimento dell’attività (talvolta solo in remoto), nelle possibilità di relazionarsi con la clientela, senza contare i controlli subiti negli spostamenti casa-lavoro.

Ora che si stanno allentando le preoccupazioni sulle condizioni di salute dei cittadini, si inizia a esaminare la legittimità dei provvedimenti adottati dal potere esecutivo.

Da un punto di vista costituzionale è bene rammentare come il potere legislativo deve sempre essere esercitato dal Parlamento, svolgendo il Governo solo un ruolo secondario: su delega del Parlamento, oppure, ex art. 77, in via provvisoria nei casi straordinari di necessità e d’urgenza, e con le clausole di validità ivi prescritte. Le perplessità avanzate dai costituzionalisti riguardano soprattutto tre aspetti:
– se il Governo potesse (lo scorso 31 gennaio) decretare lo stato di emergenza nazionale (fissato con scadenza a 6 mesi), senza alcun vaglio da parte del Parlamento;
– se il Governo potesse ricorrere ripetutamente allo strumento del decreto legge;
– se il Presidente del Consiglio dei Ministri potesse essere delegato a produrre norme che hanno un impatto rilevante sui diritti fondamentali, attraverso i DPCM, che sono strumenti regolamentari, di natura amministrativa.

Le grandi emergenze sono sempre foriere di gravi pericoli per la tenuta della legittimità degli ordinamenti giuridici. La CEDU offre una forma di controllo sugli interventi disposti dai Governi dei singoli Stati anche nei periodi di guerra e di calamità naturali.

Lo scorso 8 aprile il Consiglio d’Europa ha rammentato che sia il Consiglio (sorto con il Trattato di Londra del 1949), sia la CEDU (la Convenzione di Roma, redatta nel 1950 sotto l’egida del Consiglio d’Europa) sono figli del periodo bellico e si adattano ai periodi emergenziali. Gli articoli della CEDU contemplano le condizioni per la compressione dei singoli diritti fondamentali, mentre l’art. 15 prevede una clausola generale di “deroga in caso di stato d’urgenza”. Nel primo § è previsto che “in caso di guerra o di altro pericolo pubblico che minacci la vita della nazione” i singoli Governi possano derogare agli obblighi previsti negli articoli della CEDU “nella stretta misura in cui la situazione lo esiga”; nel secondo § è rammentato che gli Stati contraenti non possono mai ledere i diritti fondamentali incomprimibili (tra cui il divieto di trattamenti disumani e degradanti, il principio nulla poena sine lege e il ne bis in idem); infine, nel terzo §, è sancito l’obbligo, per il singolo Governo che intenda avvalersi della deroga ex § 1, di comunicare al segretario generale del Consiglio d’Europa le misure prese e la loro giustificazione.

Lo scorso 7 aprile è stato pubblicato il toolkit (su www.coe.int) per i Governi che intendono avvalersi del citato art. 15. Si tratta di una serie di raccomandazioni, volte a evitare che, nel corso dello stato emergenziale, il Governo ponga la propria attività al di là della legittimità.
In estrema sintesi, i provvedimenti governativi devono sempre avvenire sotto lo stretto controllo del Parlamento (requisito della legalità), devono avere un espresso limite temporale, devono rispettare il principio della proporzionalità (in particolare della necessarietà, sulla cui base le misure adottate devono essere le meno invasive possibile nei confronti dei cittadini) e devono rispettare la riserva giurisdizionale: deve essere esperibile il controllo ex post da parte di un giudice e, nel caso di compressione della libertà personale, il cittadino deve poter accedere a tale controllo anche ex ante.

Nel toolkit è altresì rammentato come al singolo cittadino rimane la possibilità di accedere alla CEDU anche nei casi di violazioni che scaturiscono dagli stati emergenziali.

Può l’operato del Governo ritenersi legittimo alla luce dei principi costituzionali e convenzionali? Certamente i criteri della legalità, della proporzionalità e della riserva giurisdizionale appaiono forzati, specie se si rammenta che l’art. 13 Cost. sancisce l’inviolabilità della libertà personale e quali sono le condizioni che ne legittimano la compressione: la detenzione, l’ispezione e la perquisizione non sono le uniche forme di violazione della libertà personale.
Nell’ipotesi in cui il cittadino non rispetti le limitazioni imposte dal Governo sarà sanzionato, nella maggioranza delle fattispecie, con una pena di natura amministrativa ex art. 4 DL 19/2020 (ivi sono specificate anche le ipotesi residuali di delitto contro la salute pubblica, punite con la reclusione).

Il cittadino può contestare la sanzione dapprima davanti al prefetto e poi, se questi emette l’ordinanza-ingiunzione di pagamento, davanti al giudice di pace (o al tribunale nelle ipotesi di reato), eccependo l’illegittimità del DPCM sulla cui base la sanzione è stata irrogata. Come già evidenziato, il DPCM è un atto amministrativo e come tale può essere disapplicato, in via pregiudiziale e incidentale, dal giudice ordinario (in questo caso, per violazione di legge).

In subordine occorre sollevare la questione di legittimità costituzionale, a causa della violazione dell’articolo della Costituzione che garantisce il diritto fondamentale violato (per esempio l’art. 41), oltre che dell’art. 3 (per assenza di ragionevolezza e proporzionalità), dell’art. 77 (per illegittimità del DL che ha delegato il potere al Presidente del Consiglio) e dell’art. 117 Cost. (per violazione della CEDU).

In tal modo al giudice è suggerita l’alternativa alla disapplicazione immediata, tramite la sospensione del processo e il rinvio degli atti alla Corte Costituzionale, mentre al cittadino rimane l’opzione del ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo, nell’ipotesi in cui risulti soccombente nel giudizio nazionale.