Il 40% opera in studi associati, condivisi o STP ma la dimensione dell’attività professionale rimane ridotta, soprattutto al Sud

Di Savino GALLO

Circa il 40% dei commercialisti italiani svolge la professione in forma aggregata, anche se in studi che nella maggior parte dei casi rimangono piccoli e poco strutturati. È questa la fotografia che emerge dall’ebook “L’evoluzione della professione di Commercialista. Organizzazione e specializzazione professionale”, in cui la Fondazione nazionale di categoria ha messo insieme e rielaborato i numeri delle indagini realizzate negli ultimi cinque anni.

Dalla ricerca emerge, dunque, che lo studio individuale rimane ancora quello maggiormente diffuso tra gli iscritti all’albo ma anche che, soprattutto negli ultimi anni, c’è stata una forte propensione verso una delle tre forma di studio aggregato: associato (22%), condiviso (15,6%) o società tra professionisti, che rappresentano solo il 2,4% del totale, ma sono aumentate negli ultimi 5 anni del 137,2%.

Così come tutte le indagini statistiche sulla professione, anche in questo caso emergono forti differenze a livello territoriale, non solo per quanto riguarda il livello di aggregazione, ma anche sulla grandezza stessa degli studi e sulle classi di fatturato. Al Sud c’è una netta prevalenza di commercialisti che operano in studi individuali (71,7%) rispetto al Nord-Ovest (58,3%) e al Nord-Est (55,5%) ma anche rispetto al Centro (60%) e, per contro, una presenza di commercialisti che operano in studi associati nettamente inferiore: 10,7% al Sud contro 23,7% nel Nord-Est e 24,6% nel Nord-Ovest.

A un più basso livello di aggregazione professionale, al Sud si associa un più basso livello di specializzazione. Gli studi professionali che in termini di posizionamento rispetto al fatturato da attività di base sono definiti specializzati sono il 51,4% al Sud contro il 60,9% nel Nord-Est, il 58% nel Centro e il 56,1% nel Nord-Ovest.

Sul piano dimensionale, gli studi con più di dieci addetti sono più del 16% al Nord (16,4% nel Nord-Ovest e 16,7% nel Nord-Est), mentre nel Sud sono appena il 2,6% e nel Centro l’8,7% rispetto ad una media nazionale dell’11,2%. Gli studi con almeno un dipendente sono quasi il 70% nel Nord, mentre nel Sud sono il 38,6% e nel Centro il 58,6% (media nazionale del 58,9%). Allo stesso modo, in tema di fatturato, gli studi che superano il milione di euro sono l’8,4% nel Nord contro lo 0,4% del Sud e il 3,1% del Centro.

Dalla ricerca emergono differenze importanti anche tra i commercialisti più giovani, più tendenti a operare in studi piccoli, meno strutturati e specializzati, e quelli meno giovani. Gli studi con almeno un dipendente, indice di un maggior grado di strutturazione, sono diffusi al 51,8% tra gli under 40, al 58% tra i commercialisti di età compresa tra i 41 e i 60 anni, e al 65,2% tra gli over 60.

In generale, gli studi con almeno un dipendente sono il 58,9%, ciò vuol dire che il 41,1% non ha dipendenti: una percentuale rilevante che rappresenta un indicatore ulteriore del dimensionamento ridotto di molti studi. Non a caso, il 71,6% degli studi professionali sono studi piccoli, cioè ricadenti nella classe di addetti 1-5. Il 17,2% sono studi medi (6-10 addetti), mentre solo l’11,2% sono studi grandi, cioè con più di 10 addetti. Il 29,3% degli studi è “mono-addetto” e la maggioranza (53,2%) non supera i 3 addetti.

L’indagine si sofferma anche sulle attività che producono fatturato, in modo da capire il livello di specializzazione degli studi, che vengono suddivisi in tre tipologie: gli studi a-specializzati, ovvero che fatturano più dell’80% da “attività di base” (consulenza fiscale e contabile), che rappresentano il 30,9% del totale; gli studi iper-specializzati (quelli in cui l’attività di base non supera il 20% del fatturato) che sono il 12,4%; gli studi specializzati (fatturato da attività di base compreso tra il 20 e l’80%) che sono il 56,7% del totale.

“Questa ricerca – commenta Elbano de Nuccio, Presidente del CNDCEC – dimostra che il commercialista che svolge solo adempimenti contabili e fiscali in realtà non esiste. I dati mostrano chiaramente come a quelle contabili e fiscali, i commercialisti affianchino ormai da tempo anche altre competenze, con una spiccata tendenza alla specializzazione. Esiste ancora, però, una quota significativa di studi che svolgono in prevalenza attività di base. Si tratta di attività che vanno comunque promosse, facilitando gli investimenti necessari alla migliore organizzazione dell’attività e impegnandosi a semplificare il quadro normativo e migliorare i rapporti tra professionisti e Amministrazione finanziaria”.

Ma, secondo de Nuccio, servono interventi urgenti anche per incentivare le aggregazioni e riconoscere le specializzazioni: “In tema di Società tra professionisti è urgente intervenire per risolvere alcune problematiche fiscali che da tempo poniamo all’attenzione del Legislatore, a cominciare dalla neutralità del regime fiscale relativo ai conferimenti in caso di operazioni straordinarie tra studi professionali. Sulle specializzazioni, siamo determinati nel chiederne il riconoscimento sulla base di un nuovo progetto che intende rilanciare le nostre Scuole di alta formazione, collegandole in maniera più stretta alla formazione universitaria”.