Il coinvolgimento nella gestione dipende dalla partecipazione al momento genetico delle scelte

Di Maurizio MEOLI

Il termine entro il quale dichiarare il fallimento in estensione del socio illimitatamente responsabile di cui all’art. 147 comma 2 del RD 267/1942 – un anno dallo scioglimento del rapporto sociale o dalla cessazione della responsabilità illimitata – decorre dal momento dell’iscrizione nel Registro delle imprese di una vicenda, personale o societaria, che abbia determinato il venir meno della responsabilità illimitata e attiene anche al fallimento in estensione del socio accomandante di una sas che si sia ingerito nella gestione.

Ai fini di tale ingerenza non è necessaria un’attività dotata dei caratteri di intensità e continuità, essendo sufficiente il compimento di atti non riguardanti il mero profilo esecutivo, ma il momento genetico in cui si manifesta la scelta d’impresa, ovvero che si tratti di atti di gestione e non di mero carattere attuativo. Ad affermarlo è l’ordinanza n. 6771/2022 della Cassazione.

Ai sensi dei commi 1 e 2 dell’art. 147 del RD 267/1942, la sentenza che dichiara il fallimento di una società può produrre anche il fallimento dei soci, pur se non persone fisiche, illimitatamente responsabili. Tale ultimo fallimento non può essere dichiarato decorso un anno dallo scioglimento del rapporto sociale o dalla cessazione della responsabilità illimitata.
La Cassazione sottolinea come l’art. 147 comma 2 del RD 267/1942 si riferisca esclusivamente allo scioglimento del rapporto nei confronti del singolo socio e non anche allo scioglimento della società, il quale non è preso in considerazione né dall’art. 147, né dall’art. 10 del RD 267/1942, che àncora la decorrenza del termine per la dichiarazione di fallimento della società alla cancellazione dal Registro delle imprese, sempre che non si dimostri che l’attività sia proseguita. D’altronde, la dichiarazione di fallimento, pur determinando lo scioglimento della società, non comporta l’estinzione della stessa, che consegue soltanto alla sua cancellazione, né alcuna alterazione del “vincolo sociale” e dell’organizzazione sociale, che continuano ad esistere, seppure con le limitazioni derivanti dall’intervenuto spossessamento.

Rispetto a ciò, l’esclusione di diritto del socio che sia dichiarato fallito, prevista dall’art. 2288 c.c., tende a preservare la società in bonis dagli effetti dell’insolvenza personale del socio e non opera nell’ipotesi in cui il fallimento del socio sia effetto di quello della società, quale riflesso della responsabilità illimitata del primo per le obbligazioni della seconda.

In tale sistema complessivo la dichiarazione di fallimento per estensione del socio illimitatamente responsabile resta assoggettata esclusivamente al termine di un anno decorrente dall’iscrizione nel Registro delle imprese di una vicenda, personale o societaria, che abbia determinato il venir meno del rapporto sociale o della responsabilità illimitata.

Tale disciplina trova applicazione anche al fallimento in estensione del socio accomandante di una sas che, ingeritosi nella gestione, sia tenuto a rispondere illimitatamente per le obbligazioni sociali. L’accomandante che abbia violato il divieto di cui all’art. 2320 c.c., infatti, si trova in una posizione equiparabile a quella dell’accomandatario occulto, sicché, proprio in virtù del principio di certezza delle situazioni giuridiche, il termine per la dichiarazione di fallimento non decorre né dalla data del recesso, né da quella della dichiarazione di fallimento della società, ma unicamente dal giorno in cui lo scioglimento del rapporto sociale con il socio sia portato a conoscenza dei creditori con idonee forme di pubblicità.

Quanto, poi, alla configurabilità dell’ingerenza nella gestione sociale da parte del socio accomandante – che, ai sensi dell’art. 2320 c.c., giustifica la responsabilità illimitata del socio accomandante per le obbligazioni sociali – la decisione in commento sottolinea come sia necessario che essa non riguardi il mero profilo esecutivo, ma il momento genetico in cui si manifesta la scelta d’impresa, ovvero che si tratti di un atto di gestione e non di mero carattere attuativo.

Ciò significa che i connotati di decisività e rilevanza necessari ai fini della configurabilità dell’indebita ingerenza non dipendono tanto dalla durata nel tempo dell’attività complessivamente posta in essere dall’accomandante o dalla reiterazione e dalla frequenza degli atti compiuti, quanto dalla collocabilità degli stessi nell’alveo delle scelte spettanti al titolare dell’impresa, in cui si concreta la gestione della società, e in particolare al loro attenere alla decisione di instaurare i rapporti obbligatori con i terzi estranei alla società, restando conseguentemente esclusi gli aspetti di carattere esecutivo inerenti all’adempimento delle obbligazioni che da quei rapporti derivano.

Nella specie, quindi, è attribuito rilievo al fatto che l’accomandante avesse:
– acquistato un’auto per la società in assenza di procura speciale;
– quanto meno partecipato alla scelta dei campionari (attività di sicuro rilievo rispetto alla strategia commerciale della società);
– operato sul conto corrente della società sulla base di una delega in tal senso.