Giurisprudenza non unanime sul principio che la cancellazione non estingue l’illecito commesso nell’interesse e a vantaggio dell’ente

Di Maria Francesca ARTUSI

Tra le varie questioni controverse in materia di responsabilità delle persone giuridiche, vi è anche quella relativa alle conseguenze sul procedimento ex DLgs. 231/2001 dell’intervenuta estinzione della società o dell’ente.
Un primo filone interpretativo ritiene che l’estinzione fisiologica e non fraudolenta dell’ente determini l’estinzione dell’illecito, ricorrendo un caso assimilabile alla morte dell’imputato, che – si ricorda – integra una delle cause estintive del reato previste dal codice penale per le persone fisiche.

In tale prospettiva, la pronuncia della Cassazione n. 41082/2019 aveva annullato la condanna di una srl in un caso di cancellazione della società a seguito di chiusura della procedura fallimentare. Tale evento produce così l’estinzione della persona giuridica “accusata” e, dunque, impedisce la prosecuzione del processo. Laddove, invece, venga accertata la finalità elusiva o fraudolenta perseguita attraverso la cessazione dell’attività, questa giustificherebbe l’applicazione dell’art. 33 del DLgs. 231/2001 che prevede la responsabilità solidale del cessionario dell’azienda.

Nello stesso senso si è pronunciata la Cassazione n. 25492/2021, precisando che tali ipotesi sono assimilabili al caso della morte dell’imputato, dato che si è verificato un evento che inibisce la progressione del processo ad iniziativa pubblica previsto per l’accertamento della responsabilità da reato di una persona giuridica non più esistente. Tale scelta interpretativa viene avvalorata dal fatto che il testo legislativo regolamenta sole le vicende inerenti la trasformazione dell’ente, ovvero la fusione o la scissione (art. 70 del DLgs. 231/2001), ma non la sua estinzione, che dunque non può che essere trattata applicando le regole del processo penale “classico”, secondo quanto stabilito dell’art. 35 del DLgs. 231/2001 (“Estensione della disciplina relativa all’imputato”).

Si ritiene dunque non importabile nel processo a carico dell’ente per l’accertamento della responsabilità da reato il principio espresso dalla giurisprudenza civile secondo cui la cancellazione di una società di capitali dal Registro delle imprese determina un fenomeno successorio in forza del quale i rapporti obbligatori facenti capo all’ente non si estinguono ma si trasferiscono ai soci che, a seconda del regime giuridico dei debiti sociali, ne rispondono nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione ovvero illimitatamente.

Una più recente sentenza della Cassazione – la n. 9006 dello scorso 17 marzo – ha dissentito rispetto all’impostazione sin qui rappresentata. In particolare – secondo le motivazioni di tale pronuncia – il silenzio serbato dal legislatore circa le vicende estintive dell’ente non può indurre ad accontentarsi di un accostamento con l’estinzione della persona fisica. In primo luogo, perché, in linea generale, le cause estintive dei reati sono notoriamente un “numero chiuso”, non estensibile. Inoltre, quando il legislatore ha inteso far riferimento a cause estintive degli illeciti in materia di responsabilità delle persone giuridiche, lo ha fatto espressamente, come all’art. 8 comma 2 del DLgs. 231/2001, allorché ha disciplinato l’amnistia, e all’art. 67 dello stesso decreto, ove ha previsto l’adozione di sentenza di non doversi procedere in due soli casi: quando il reato dal quale dipende l’illecito amministrativo dell’ente è prescritto e quando la sanzione è estinta per prescrizione.

Richiamando il principio fissato dalle Sezioni Unite (Cass. SS.UU. n. 11170/2015), secondo cui “in tema di responsabilità da reato degli enti, il fallimento della persona giuridica non determina l’estinzione dell’illecito amministrativo previsto dal DLgs. 231/2001”, non si ritiene, così, comprensibile un diverso trattamento della cancellazione della società, da cui discenderebbe l’estinzione dell’illecito amministrativo contestato all’ente, rispetto al caso di dichiarazione di fallimento, allorché è espressamente prevista l’esclusione dell’effetto estintivo.

Infine, si contesta il richiamo che il primo orientamento interpretativo opera all’art. 35 del DLgs. 231/2001, nella misura in cui trascura che il rinvio operato dal legislatore alle disposizioni processuali relative all’imputato non è indiscriminato ma è solo “in quanto compatibili”.
Alla luce di tali considerazioni, viene affermato il seguente principio di diritto: la cancellazione dal Registro delle imprese della società alla quale si contesti (nel processo penale che si celebra anche nei confronti di persone fisiche imputate di lesioni colpose con violazione della disciplina antinfortunistica) la violazione dell’art. 25-septies comma 3 del DLgs. 231/2001, in relazione al reato di cui all’art. 590 c.p., commesso nell’interesse ed a vantaggio dell’ente, non determina l’estinzione dell’illecito alla stessa addebitato.

Stante il “consapevole contrasto” con la precedente giurisprudenza, sarebbe opportuno un chiarimento, anche perché la disciplina 231 è già di per sé foriera di dubbi interpretativi che non aiutano la certezza per le imprese e per i professionisti che le assistono.