La posizione della Cassazione non sembra condivisibile alla luce della riforma del diritto societario in vigore dal 2004

Di Giampiero GUARNERIO

Con l’ordinanza n. 38757/2021 la Cassazione reitera l’orientamento per il quale i compensi degli amministratori di srl sarebbero indeducibili se non deliberati. Tale posizione non è condivisibile per via della riforma del diritto societario in vigore dal 2004 che ha cambiato radicalmente il quadro della situazione.

La posizione originaria era basata su 5 norme del codice civile. Per le spa l’art. 2364 prevedeva la competenza dell’assemblea a deliberare i compensi e l’art. 2389 assegnava all’assemblea il potere di determinare i compensi; per le srl gli artt. 2486 e 2487 rinviavano integralmente alle stesse regole valevoli per le spa. Per entrambe, l’art. 2630 comma 2 indicava come delitto la percezione di compensi non previamente deliberati.

In tale contesto, la sentenza a Sezioni Unite n. 21933/2008, emessa in ambito civilistico su un caso del 1991, stabiliva che i compensi non deliberati andavano restituiti in quanto si trattava di un reato.
In ambito tributario, la sentenza n. 17673/2013 della Cassazione concluse che, essendo i compensi non deliberati illecitamente percepiti, difettavano dei requisiti di certezza e obiettiva determinabilità necessari ai fini fiscali. Non avvedendosi, peraltro, che già l’art. 95 del TUIR avrebbe prodotto tale conseguenza all’atto della restituzione dei compensi illeciti. Non va infatti dimenticato che la prima vittima in tali situazioni è la società, che per effetto della scelta della Corte soffre una doppia ingiustizia: il prelievo illecito dei compensi e la tassazione su una capacità contributiva inesistente se i compensi non vengono restituiti.

Con la riforma societaria in vigore dal 2004 cambia totalmente il quadro civilistico: l’art. 2630 comma 2 è stato abrogato dal DLgs. 61/2002, facendo sfumare la “imperatività” delle altre norme, e la disciplina delle srl viene radicalmente riscritta.
Per quanto riguarda le decisioni dei soci, l’art. 2479 (che corrisponde all’art. 2486 ante riforma) non richiama più la corrispondente regola delle spa (art. 2364): stabilisce che spetta ai soci nominare gli amministratori, ma non più che ne devono stabilire i compensi.

Per quanto riguarda l’amministrazione della società, l’art. 2475 (che corrisponde all’art. 2487 ante riforma) non richiama più la corrispondente regola delle spa (art. 2389), ma ne regola ex novo il funzionamento, senza prevedere più che i compensi degli amministratori debbano essere prefissati dall’assemblea.

A tutta evidenza non si tratta di mere dimenticanze nei richiami normativi: è un nuovo schema societario, coerente, che in due punti separati afferma e ribadisce la non necessità che i soci stabiliscano in anticipo i compensi degli amministratori.

Vediamo i punti deboli dell’ordinanza in commento.
Essa afferma che la Suprema Corte ha ribadito in più occasioni il principio espresso dalle Sezioni Unite anche nei casi post riforma, citandone alcune che di seguito commentiamo:
– la sentenza n. 21953/2015. È un precedente che citeremmo noi a contrario: riguarda infatti un caso ante riforma (e già questo la dice lunga sull’attenzione prestata dalla Corte), ma è interessante perché nelle motivazioni chiariva bene che la riforma societaria ha cambiato il quadro normativo, e quindi dopo il 2004 l’esito avrebbe potuto essere diverso. Parafrasando, dice che il mancato richiamo alle regole delle spa trova giustificazione nella maggiore snellezza della organizzazione e del funzionamento che il legislatore ha inteso riconoscere alle srl, privilegiando le disposizioni pattizie, rispetto alle quali le norme di legge assumono efficacia suppletiva, venendo meno l’esigenza di tutela dei diritti patrimoniali dei soci;
– le ordinanze gemelle nn. 11779/2016 e 11781/2016. Riguardano casi post riforma, è vero. Ma leggendole si comprende che la Corte si è conformata acriticamente ai precedenti ante riforma, senza motivare perché sarebbero ancora applicabili alle srl e citando proprio la sentenza n. 21953 che, invece, va nella direzione opposta;
– l’ordinanza n. 8210/2017. È un caso del 2004, ma la questione della riforma societaria non viene affatto esaminata (il contribuente non ha nemmeno svolto attività difensiva) e di nuovo richiama come pertinente la sentenza n. 21953/2015.

Entrando nel merito della riforma, la Corte afferma che il venir meno dell’espresso rinvio all’art. 2389 “non fa venir meno la necessità di previa delibera assembleare di determinazione dei compensi, atteso il carattere inderogabile dell’art. 2389” che sarebbe applicabile anche alle srl pur in mancanza di una norma di rinvio, perché “in quest’ultimo tipo di società di capitali non è prevista una norma specifica sui compensi agli amministratori, rimandando l’art. 2475 all’atto costitutivo”.

Ci pare una spiegazione non condivisibile. L’inderogabilità dell’art. 2389 riguarda le spa, caso mai si discute soltanto della sua applicabilità anche alle srl. Ma ciò non può discendere dal mero fatto che manchi una norma specifica per le srl sui compensi perché la nuova legge riscrive integralmente il funzionamento delle srl: non si menziona l’“assemblea dei soci” ma si parla di “decisioni dei soci”, e le regole di funzionamento per gli amministratori sono totalmente diverse. Per fare solo un esempio (ma basta leggere i due assetti per rendersi conto che si tratta di due contesti non comparabili), nelle spa si consente che gli amministratori siano non soci, mentre nelle srl si prevede di regola che siano soci, salvo che lo statuto non dica diversamente. Basta questo per chiedersi quale senso abbia che l’assemblea (che nemmeno potrebbe esistere nelle srl) decida i compensi dei soci se gli amministratori sono normalmente anche soci.

Ultimo aspetto criticabile della sentenza è la conclusione. Afferma la Corte che in mancanza di delibera verrebbero meno i requisiti di certezza e determinabilità dei compensi. Peccato che proprio la sentenza n. 21953/2015, citata dalla Corte, chiarì che il requisito della certezza non può venir meno se la nomina è valida, giacché l’amministratore ha un diritto soggettivo perfetto alla percezione del compenso.

Quanto alla determinabilità, la nota Dir. II.DD. n. 9/375 del 1981 ha precisato che l’aggettivo “determinabile” ha insito in sé il concetto di una valutazione economico-estimativa fatta con criteri che siano suffragati da elementi oggettivi. Essendoci già una indicazione numerica (l’importo dichiarato dalla società), caso mai si potrebbe ipotizzare di valutarne la non macroscopica incongruità.