La possibilità sembra contenuta nell’art. 9 del DL 118/2021 come modificato dalla L. 147/2021

Di Saverio MANCINELLI

Il DL 118/2021, convertito dalla L. 147/2021, ha introdotto il procedimento stragiudiziale della composizione negoziata per la soluzione della crisi di impresa, il cui presupposto oggettivo è lo “squilibrio patrimoniale o economico-finanziario che rende probabile la crisi o l’insolvenza”, purché risulti “ragionevolmente perseguibile il risanamento dell’impresa”. Abbiamo, quindi, un requisito ampio ma, nel contempo, condizionato, in quanto le due premesse devono essere congiuntamente soddisfatte. Poiché la lettera della norma individua la probabilità di un’insolvenza, in primis appare lecito interrogarsi se possa accedere all’istituto un imprenditore (già) in stato di insolvenza (e, nell’eventualità, il profilarsi di eventuali responsabilità).

Se la problematica è affrontata in un’ottica “giuridica”, la risposta è negativa: lo stato di insolvenza ha un carattere permanente riferito a tutta la situazione patrimoniale, economica e finanziaria dell’impresa, che si risolve in una impotenza economica, funzionale, non transitoria ed irreversibile, dove tale stato determina un conflitto con la condizione imposta di ragionevole probabilità di risanamento. Inoltre, poiché la ratio della composizione negoziata è quella di favorire il risanamento secondo una prospettiva di continuità, il requisito oggettivo sembra essere una fase di “allerta”, anticipatoria della crisi, con sintomi di squilibrio non cronici, senza che l’insolvenza si sia verificata.

Depone in tal senso, anche la direttiva Ue 1023/2019, cui si è ispirato il legislatore del DL 118/2021, che stabilisce norme in materia di ristrutturazione preventiva per il debitore che versa in difficoltà finanziarie e per il quale “sussiste una probabilità di insolvenza, al fine di impedire l’insolvenza” e, in particolare, il considerando 24) della medesima direttiva dove si legge che “onde evitare abusi dei quadri di ristrutturazione, è opportuno che le difficoltà finanziarie del debitore presentino una probabilità di insolvenza e che il piano di ristrutturazione sia tale da impedire l’insolvenza e garantire la sostenibilità economica dell’impresa”. Inoltre, non va dimenticato che la composizione negoziata tenta di salvaguardare il maggior numero di imprese in “squilibrio”, ma capaci di produrre (nuovamente) ricchezza, poiché appartenenti a settori economici gravemente provati dalla pandemia.

A conclusioni diametralmente opposte, si giunge, tuttavia, se la problematica sulla possibilità di accesso alla composizione negoziata da parte di un imprenditore in stato di insolvenza viene affrontata da altra “angolazione”, che potremmo definire più “aziendalistica”, cioè facendo riferimento alle modalità di esecuzione del test pratico (qualificato nella relazione illustrativa di auto-diagnosi) esposte nel decreto dirigenziale del Ministero della Giustizia del 28 settembre 2021, “per la verifica della ragionevole perseguibilità del risanamento” che identifica i parametri per ponderare lo squilibrio patrimoniale o economico-finanziario, coerenti con quanto imposto dal codice civile in termini di corretti assetti organizzativi e con quanto previsto nell’escalation valutativa dei punti da 21 a 24 del principio OIC 11.

Da tale “prospettiva”, per l’accesso al percorso non sembra ostativo uno stato di insolvenza già esistente, purché l’impresa, in relazione alla concreta prospettiva di risanamento, venga supportata da risorse esogene (apporti di capitale di rischio e di debito postergati), oppure quando, in tempi brevi, si possa procedere per “linee esterne” (trasferimento dell’azienda o di suoi rami). In tal senso, depone anche la Relazione illustrativa al DL 118/2021, dove si legge testualmente: “l’imprenditore in difficoltà, in crisi, o in stato di insolvenza reversibile”, lasciando presumere non ostativo per l’accesso al procedimento uno stato di insolvenza sanabile con mezzi straordinari. In breve, ricorre l’ipotesi in cui l’indice “indebitamento /flussi finanziari liberi attesi” raggiunge un rapporto elevato, con conseguente “tempo di risanamento” oltremodo dilatato, ma ragionevolmente sanabile (solo) con mezzi esogeni.

La soluzione definitiva alla problematica sembra, infine, contenuta nell’art. 9 del DL 118/2021 (titolato “Gestione dell’impresa in pendenza di trattative”) come modificato in sede di conversione dalla L. 147/2021, dove è precisato che l’imprenditore in stato di crisi gestisce l’impresa in modo da evitare pregiudizio alla sostenibilità economico-finanziaria dell’attività, tuttavia, se nel corso della procedura risulta (quindi non “sopravviene”) la sua insolvenza, ma esistono concrete prospettive di risanamento, la gestione deve avvenire nel prevalente interesse dei creditori, ferme restando le responsabilità dell’imprenditore.

La conclusione è che lo stato di insolvenza non è ostativo all’accesso alla composizione negoziata, purché sia ragionevolmente perseguibile il risanamento dell’impresa e purché tale condizione permanga, nell’interesse dei creditori, anche durante il procedimento; il tutto nella consapevolezza che:
– resta ferma l’osservanza (e non potrebbe essere altrimenti) degli “adeguati assetti organizzativi” ex art. 2086 comma 2 c.c., anche dopo aver intrapreso il percorso della composizione negoziata, che non può costituire un’esimente per la sospensione di tale obbligo;
– l’art. 217 del RD 267/42 punisce con la bancarotta semplice (reclusione da 6 mesi a 2 anni), l’imprenditore in stato di insolvenza che ha aggravato il dissesto, astenendosi dal chiedere il proprio fallimento.