Per la correttezza della sanzione, però, occorre che i giudici considerino adeguatamente tutti gli elementi dedotti in giudizio

Di Maurizio MEOLI

Il dovere di vigilanza dei sindaci di una banca non si limita al profilo della concessione di nuovi affidamenti, ma investe anche la gestione delle posizioni creditorie già in essere.
Una decisione di merito che sanzioni i sindaci di una banca per carenze nell’esecuzione dei controlli presenta il vizio di omesso esame di fatti decisivi quando non tiene in alcun conto una serie di comportamenti proattivi correttamente dedotti in giudizio e tesi a limitare i poteri dell’amministratore delegato.

Appaiono queste le principali indicazioni desumibili dall’ordinanza n. 28067 della Corte di Cassazione, depositata ieri.
Nel caso di specie, la sanzione comminata in sede di merito nei confronti del presidente del collegio sindacale di una banca era giustificata dalla carenza dei controlli e dal mancato rilievo di posizioni creditorie anomale, con previsioni di perdite non segnalate all’organo di vigilanza.

Contro tale decisione presentavano rilievi sia il presidente del collegio sindacale che la Banca d’Italia. Il sindaco eccepiva, quanto alla carenza dei controlli, la mancata considerazione di tutta una serie di circostanze e di attività che avrebbero dovuto escludere tale profilo di responsabilità, e, quanto all’asserito deterioramento del portafoglio crediti, come si trattasse di una prerogativa della società di revisione, e non dei sindaci, individuabile al momento della verifica della regolare tenuta della contabilità e della corretta rilevazione in essa dei fatti di gestione.

La Banca d’Italia, invece, contestava il fatto che i giudici di merito non avessero ritenuto il sindaco responsabile anche per carenti controlli sui crediti erogati prima dell’assunzione della carica.
La Suprema Corte reputa fondato solo il primo rilievo del sindaco.

Nel giudizio di merito, infatti, era stato effettivamente dedotto come il Collegio sindacale avesse tenuto i seguenti comportamenti tesi ad incidere sull’operatività dell’amministratore delegato foriera di problematiche per la banca: aveva formulato la proposta (poi approvata) di limitarne i poteri; aveva disposto la rilevazione delle operazioni in potenziale conflitto di interessi; aveva richiesto due pareri legali sul conflitto di interessi dell’amministratore delegato; aveva richiesto report periodici all’amministratore delegato; aveva richiesto approfondimenti su un’operazione immobiliare poi non conclusa; aveva sollecitato la richiesta di autorizzazione della capogruppo nella deliberazione dei prestiti maggiori di 5.000.000 di euro; aveva adottato una iniziativa volta alla costituzione di una unità di crisi.

Tali fatti, osserva la Suprema Corte, correttamente dedotti in giudizio, avrebbero dovuto formare oggetto di esame da parte dei giudici di merito, i quali avrebbero dovuto verificarne sussistenza e concludenza, valutandone le ricadute in punto di responsabilità dell’opponente. Il silenzio della sentenza su tali evidenze processuali, di conseguenza, integra il vizio di omesso esame di fatto decisivo.

Quanto al secondo rilievo del sindaco, invece, la decisione in commento si limita a ricordare come la Cassazione abbia già chiarito che la complessa articolazione della struttura organizzativa di una banca (o di una società di investimenti) non può comportare l’esclusione o anche il semplice affievolimento del potere-dovere di controllo riconducibile a ciascuno dei componenti del collegio sindacale, i quali, in caso di accertate carenze delle procedure aziendali predisposte per la corretta gestione societaria, sono sanzionabili a titolo di concorso omissivo quoad functione, gravando sui sindaci, da un lato, l’obbligo di vigilanza – in funzione non soltanto della salvaguardia degli interessi degli azionisti nei confronti degli atti di abuso gestionali degli amministratori, ma anche della verifica dell’adeguatezza delle metodologie finalizzate al controllo interno, secondo parametri procedimentali dettati dalla normativa regolamentare, a garanzia di clienti e investitori – e, dall’altro lato, l’obbligo di denuncia immediata all’autorità di vigilanza (cfr. Cass. n. 6037/2016; si veda anche Cass. SS.UU. n. 20934/2009).

Anche il rilievo formulato dalla Banca d’Italia è reputato fondato dalla Suprema Corte, dal momento che è già stato chiarito come, in presenza di una illecita condotta gestoria posta in essere dagli amministratori, non sia sufficiente ad esonerare i sindaci della società da responsabilità la circostanza di avere assunto la carica dopo l’effettiva realizzazione di alcuni dei fatti dannosi.

La Cassazione n. 18770/2019, in particolare, ha stabilito che, ove i sindaci abbiano mantenuto un comportamento inerte, non vigilando adeguatamente sulla condotta illecita gestoria contraria alla corretta gestione dell’impresa, non è sufficiente ad esonerarli da responsabilità la circostanza di essere stati tenuti all’oscuro dagli amministratori o di avere essi assunto la carica dopo l’effettiva realizzazione di alcuni dei fatti dannosi, allorché, assunto l’incarico, fosse da essi esigibile lo sforzo diligente di verificare la situazione e di porvi rimedio, e l’attivazione conformemente ai doveri della carica avrebbe potuto permettere di scoprire tali fatti e di reagire ad essi, prevenendo danni ulteriori.