Alcuni nodi di carattere operativo da sciogliere richiedono un intervento chiarificatore dell’Agenzia delle Entrate

Di Marco MAZZETTI DI PIETRALATA e Pierantonio CARPENZANO

Nei giorni scorsi, l’Agenzia delle Entrate ha pubblicato la bozza della circolare di chiarimenti – in consultazione fino a oggi, 12 ottobre – che illustra alcuni elementi di novità in materia di documentazione idonea relativa ai prezzi di trasferimento, utile al contribuente per beneficiare del regime premiale di cui all’art. 1, comma 6 del DLgs. n. 471/1997.

All’esito di una prima lettura, restano irrisolte alcune questioni di carattere operativo che, in assenza di un intervento chiarificatore dell’Agenzia delle Entrate, potrebbero compromettere in maniera non trascurabile l’idoneità della documentazione di transfer pricing.

Si pensi, in primo luogo, all’obbligo di redazione del Masterfile per tutte le imprese residenti, come già disposto dal provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate del 23 novembre 2020, precedentemente valido solamente per le holding e le subholding (anche in presenza di subsidiaries e di stabili organizzazioni). Tale nuovo obbligo costituisce, in verità, un onere di particolare rilevanza per tutte le imprese residenti, le quali – soprattutto nel caso in cui le medesime siano sottoposte al controllo di gruppi esteri – si trovano a dover reperire una mole di informazioni di cui molto spesso non dispongono.

Se da un lato, infatti, il provvedimento introduce la possibilità per l’entità locale di documentare la propria politica di prezzi di trasferimento tramite la presentazione di un Masterfile che tenga conto solamente dell’attività di una specifica divisione operante in modo in gran parte indipendente dal resto del gruppo multinazionale, e dal contenuto informativo conforme all’Allegato I al Capitolo V delle Linee Guida OCSE, dall’altro, il § 4 della bozza di circolare restituisce al lettore (e al contribuente) un’autentica contraddizione in termini, allorché si chiede di integrare il documento in questione qualora esso rechi minori informazioni rispetto a quanto disposto dallo schema di cui al § 2.2 del provvedimento.

In tale circostanza, le difficoltà operative per l’entità locale si tramuteranno in una macchinosa richiesta di informazioni alle proprie consociate estere e nel rischio concreto di dover temere una prognosi di non idoneità qualora le informazioni fornite, ai sensi di quanto disposto dal § 11 della bozza, risultino anche solo in parte non riscontrabili e/o corrispondenti al vero.

Ulteriori perplessità emergono con riferimento al contenuto della Documentazione nazionale, in particolare laddove si richiede una descrizione delle assunzioni critiche adottate alla base dell’applicazione del metodo scelto, “con l’indicazione degli effetti derivanti al modificarsi delle stesse”.

Sebbene una tale richiesta possa apparire in piena sintonia con la ratio dell’(auspicato) allineamento della normativa italiana alle raccomandazioni OCSE, non è tuttavia chiaro in che modo il contribuente debba “blindare” la scelta di uno specifico metodo rispetto agli altri, se tramite una rappresentazione di vari scenari più o meno aleatori o se tramite una ulteriore – ma meno probabile – descrizione dettagliata dell’inapplicabilità degli altri metodi.

In particolare, nonostante i paragrafi 43-46 (C.3.6) sulle “critical assumptions” di cui all’Allegato II al Capitolo IV delle Linee Guida OCSE (si pensi, ad esempio, ai cambiamenti del quadro normativo domestico, delle condizioni di mercato, delle funzioni e dei rischi delle imprese coinvolte in determinate operazioni, dei tassi di interesse o dei credit rating) chiariscano che il contribuente e l’Amministrazione dovrebbero cercare di identificare le circostanze critiche basate, ove possibile, su dati osservabili, affidabili e indipendenti, allo stesso modo non si può non considerare come tali “critical assumptions” non siano limitate a elementi che rientrano nel pieno controllo del contribuente, dovendo quest’ultimo tener conto delle caratteristiche dell’ambiente commerciale, del contesto giuridico, della metodologia adottata e del tipo di transazioni infragruppo analizzate.

Una tale richiesta – preso atto dell’onerosità delle informazioni considerate necessarie secondo il nuovo schema di documentazione e a poche settimane dalla scadenza fissata per la trasmissione delle dichiarazioni dei redditi delle società – parrebbe pertanto prestare il fianco ancora una volta al potere di sindacabilità dell’Amministrazione finanziaria, e ciò in un contesto in cui sembrerebbe oramai consolidarsi un orientamento giurisprudenziale votato a favorire le scelte del contribuente, come peraltro ribadito, tra l’altro, dalla recente sentenza della C.T. Prov. di Milano n. 2982/2021.

Questa, infatti, afferma che, in presenza di più criteri, non è sufficiente affermare che uno di essi sia migliore dell’altro, ma occorre che l’Amministrazione dia prova dell’erroneità del criterio utilizzato, tenuto conto che l’utilizzo di un criterio piuttosto che un altro rientra nell’autonomia organizzativa insindacabile dell’imprenditore.