La Cassazione torna a seguire la tesi formalistica sulla qualificazione della condotta appropriativa degli amministratori giustificata dall’attività svolta

Di Maurizio MEOLI

Ai fini della corretta qualificazione penale (come bancarotta fraudolenta per distrazione o come bancarotta preferenziale) della condotta dell’amministratore che si appropri di somme della società poi fallita invocandone la natura di compensi, occorre considerare come dal rapporto di “immedesimazione organica” che lo lega alla società non discenda automaticamente il diritto al compenso per l’attività gestoria, che deve essere previsto e determinato dai soci (e, nel caso di società di capitali, dall’assemblea sociale). Di conseguenza, in presenza di prelievi privi ex ante di un valido titolo giuridico e rimasti privi di giustificazione causale, la condotta è da ricondurre nell’alveo della (più grave) fattispecie di bancarotta fraudolenta per distrazione.

A stabilirlo è la sentenza n. 32732/2021 della Cassazione, che appare da collocare nell’alveo della soluzione formalistica in materia, secondo la quale valore dirimente sarebbe da attribuire all’esistenza di un diritto al compenso derivante da una corretta procedura societaria, non potendosi riconoscere rilievo alla mera congruità di quanto “appreso” in termini di corrispondenza con l’attività effettivamente svolta per la società (soluzione sostanzialistica; sul tema, comunque, si veda “Bancarotta per i compensi da amministratore senza delibera assembleare” del 28 agosto).

L’argomentare della decisione in commento, peraltro, ha inizio riprendendo indicazioni proprie della soluzione sostanzialistica. Si ricorda, infatti, come sia stato già affermato che integra il delitto di bancarotta per distrazione, e non quello di bancarotta preferenziale, la condotta del socio amministratore di una società di persone che prelevi dalle casse sociali somme asseritamente corrispondenti a crediti dal medesimo vantati per il lavoro prestato nell’interesse della società, senza l’indicazione di elementi che ne consentano un’adeguata valutazione, quali, ad esempio, gli impegni orari osservati, gli emolumenti riconosciuti a precedenti amministratori o a quelli di società del medesimo settore e i risultati raggiunti (cfr. Cass. n. 49509/2017).

Successivamente, però, si precisa che il rapporto di immedesimazione organica che si instaura tra amministratore e società non è assimilabile né a un contratto d’opera, né a un rapporto di lavoro subordinato o parasubordinato che giustifichino, di per sé, il credito per il lavoro prestato, dovendo l’eventuale sussistenza, autonoma e parallela, di un tale rapporto essere verificata in concreto attraverso l’accertamento dell’oggettivo svolgimento di attività estranee alle funzioni inerenti all’immedesimazione organica (Cass. n. 14010/2020).

Questa decisione, affermano i giudici di legittimità, valorizza i principi sanciti dalle Sezioni unite civili (Cass. SS.UU. n. 1545/2017) che, nell’analizzare il rapporto che lega l’amministratore alla società (nella fattispecie si trattava di una spa), ha evidenziato come esso si inquadri tra i “rapporti societari”, data l’essenzialità del rapporto di rappresentanza in capo all’amministratore che, essendo funzionale, secondo la figura della c.d. immedesimazione organica, alla vita della società, consente alla stessa di agire.

In altri termini, ci si trova in presenza di un rapporto “di società”, in quanto funzionale ad assicurare l’agire della società stessa, non assimilabile, in quest’ordine di idee, né a un contratto d’opera, né, tantomeno, a un rapporto di tipo subordinato o parasubordinato. Con la conseguenza che, come precisato dalla Cassazione n. 285/2019, per la specialità del rapporto, è inapplicabile l’art. 36 Cost. (cfr. anche Cass. n. 19714/2012) ed è legittima la previsione statutaria di gratuità delle funzioni di amministratore di società (cfr. Cass. nn. 15382/2017 e 7961/2009). Peraltro, come rilevato, eventuali ulteriori rapporti tra la società e l’amministratore potrebbero essere fondati su un’attività estranea alle funzioni gestorie e assumere le caratteristiche di un rapporto subordinato, parasubordinato o d’opera.

Si ricorda, quindi, come sia stata considerata in termini di bancarotta fraudolenta per distrazione la condotta dell’amministratore che prelevi dalle casse sociali somme qualificate come compensi per la carica ricoperta, qualora tali compensi, solo genericamente indicati nello statuto (e non giustificati da dati ed elementi di confronto che ne consentano un’oggettiva valutazione), siano stati determinati nel loro ammontare con una delibera dell’assemblea dei soci adottata pro forma, al solo fine di giustificare l’indebito prelievo (cfr. Cass. n. 3191/2021). In presenza di una previsione statutaria il credito è da considerarsi illiquido, in quanto, sebbene certo nell’an, non è determinato anche nel quantum (cfr. Cass. n. 30105/2018, secondo la quale non è giustificabile alcuna autoliquidazione dei compensi dell’amministratore). Per contro (Cass. n. 32637/2018), ai fini della configurabilità del delitto di bancarotta preferenziale è necessario che il pagamento estingua un debito effettivo, della cui esistenza l’amministratore è onerato di fornire la prova, in difetto della quale ricorre un’ipotesi di distrazione dei beni e non di diseguale trattamento dei creditori.

Si tratta di una soluzione che desta perplessità nella parte in cui, nonostante un diritto al compenso statutariamente riconosciuto, ma non determinato, non consente il passaggio verso la meno grave fattispecie di bancarotta preferenziale, a prescindere dall’entità dei prelievi.