Titolarità e disponibilità non sono da ricondurre agli schemi civilistici

Di Maurizio MEOLI

La Corte di Cassazione, nella sentenza n. 26796/2021, fornisce un accurato esame della fattispecie di trasferimento fraudolento di valori, recentemente soppressa dall’art. 7 comma 1 lett. t) del DLgs. 21/2018, che ha però introdotto l’art. 512-bis c.p., con l’art. 4 comma 1 lett. b), il cui testo corrisponde integralmente a quello della disposizione formalmente abrogata.

In particolare, in base a tale disposizione, salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque attribuisca fittiziamente ad altri la titolarità o disponibilità di denaro, beni o altre utilità al fine di eludere le disposizioni di legge in materia di misure di prevenzione patrimoniali o di contrabbando, ovvero di agevolare la commissione di uno dei delitti di cui agli artt. 648648-bis e 648-ter c.p. (ricettazione, riciclaggio e impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita) è punito con la reclusione da due a sei anni.
Ai fini della sua configurabilità è sufficiente l’accertamento dell’attribuzione fittizia ad altri della titolarità o della disponibilità di denaro, beni o altre utilità, senza che al giudice sia anche richiesto l’apprezzamento della concreta capacità elusiva dell’operazione patrimoniale accertata, trattandosi di situazione estranea agli elementi costitutivi del fatto incriminato.

Si tratta di un reato a forma libera, istantaneo ma con effetti permanenti, che si consuma nel momento in cui viene realizzata consapevolmente la difformità tra titolarità formale e apparente e titolarità di fatto dei beni. Il tutto con il dolo specifico di eludere le disposizioni di legge in materia di prevenzione o di agevolare la commissione di uno dei ricordati delitti.

Si tratta, inoltre, di un reato di pericolo astratto, essendo sufficiente, per la sua commissione, che l’agente, sottoposto o sottoponibile ad una misura di prevenzione, compia un qualsiasi negozio giuridico al fine di eludere le disposizioni di legge in materia di misure di prevenzione patrimoniali; di conseguenza, la valutazione attinente al pericolo di elusione della misura va compiuta ex ante, su base parziale, ovvero, alla luce delle circostanze che, al momento della condotta, erano conosciute o conoscibili da un uomo medio in quella determinata situazione spazio/temporale.

Il legislatore, nella costruzione della fattispecie, non ha provveduto a formalizzare i meccanismi rilevanti attraverso i quali può realizzarsi una “attribuzione fittizia”; essi, quindi, possono essere i più disparati. Neppure ha inteso ricondurre la definizione di “titolarità” o “disponibilità” entro schemi tipizzati di carattere civilistico. Il giudice del merito, quindi, è lasciato libero di procedere a tutti gli accertamenti necessari e di pervenire – senza vincoli di carattere formale – ad un giudizio concreto degli elementi logici e fattuali sulla cui falsariga verificare il “fatto storico” apparente, rispetto a quello reale, e lo scopo specifico che ha qualificato siffatta condotta, altrimenti penalmente neutra.

Pertanto, i termini “titolarità” e “disponibilità” impongono, da un lato, di comprendere nella previsione normativa non solo le situazioni del proprietario e del possessore, ma anche quelle nelle quali il soggetto venga, comunque, a trovarsi in un rapporto di signoria rispetto al bene, e, dall’altro, di considerare ogni meccanismo che realizzi la fittizia attribuzione, consentendo al soggetto incriminato di mantenere il proprio rapporto con il bene.

In particolare, si ricorda come sia stata attribuita rilevanza alla creazione, da una originaria società, di ulteriori e nuove società fittizie, così come a plurime intestazioni fittizie di quote di società attraverso un reticolo di operazioni simulate. Si tratta, infatti, di operazioni in grado di generare un assetto che rende oltremodo difficile, se non impossibile, l’individuazione della reale proprietà dei beni in questione, agevolandone la sottrazione alle legittime pretese dello Stato (cfr. Cass. n. 10024/2009).

È, inoltre, da considerare rilevante la fittizia costituzione di una nuova società commerciale volta ad eludere le disposizioni di legge in materia di prevenzione patrimoniale, attraverso l’intestazione delle quote a soggetti utilizzati come prestanome dei reali proprietari.

E, dunque, soprattutto nei casi in cui la condotta di attribuzione fittizia della titolarità o disponibilità dei beni si realizzi attraverso lo schermo sociale, mediante operazioni che ne trasformino l’assetto e le relative attività, i singoli fatti non possono essere atomisticamente apprezzati, ma devono necessariamente inquadrarsi nell’ambito di una concatenata – e logicamente inscindibile – serie di condotte, tutte causalmente orientate al raggiungimento dell’obiettivo dissimulatorio che la norma in questione intende scongiurare e punire.

In tale prospettiva il reato si presenta a condotta plurima o frazionata, perché tramite una serie concatenata di atti trasformativi realizza un’azione unitaria che si esaurisce e si qualifica – sul piano della individuazione del relativo momento consumativo – con il raggiungimento dell’assetto stabile e definitivo della nuova “apparenza” della compagine sociale.