Non basta la posizione di garanzia per concorrere con gli amministratori

Di Maria Francesca ARTUSI

Per affermare la responsabilità dei componenti del collegio sindacale per un reato di bancarotta fraudolenta va chiarito adeguatamente se, qualora i sindaci avessero adempiuto pienamente ai loro compiti di controllo, la condotta distrattiva si sarebbe comunque verificata oppure no.
La Corte di Cassazione, nella sentenza n. 20867 depositata ieri, ribadisce quell’orientamento di garanzia secondo il quale la responsabilità dei sindaci non può desumersi da una mera loro posizione di garanzia e dal mancato esercizio dei relativi doveri di controllo, ma postula l’esistenza di elementi, dotati di adeguato e necessario spessore indiziario, sintomatici della partecipazione dei sindaci stessi all’attività degli amministratori ovvero dell’effettiva incidenza causale dell’omesso esercizio dei doveri di controllo rispetto alla commissione del reato di bancarotta fraudolenta da parte di costoro (Cass. n. 15360/2010).

Appare opportuno ricordare che, nei reati di bancarotta (artt. 216 e 223 del RD 267/42), il concorso dei componenti del collegio sindacale nei reati commessi dall’amministratore della società può realizzarsi anche attraverso un comportamento omissivo, poiché il controllo a loro richiesto non può e non deve esaurirsi in una mera verifica formale o in un riscontro contabile della documentazione messa a disposizione dagli amministratori, ma deve ricomprendere il riscontro tra la realtà e la sua rappresentazione o comunque estendersi al contenuto della gestione sociale, a tutela non solo dell’interesse dei soci ma anche di quello concorrente dei creditori sociali e in virtù del potere-dovere dei sindaci di chiedere agli amministratori notizie sull’andamento della società e delle sue operazioni gestorie, pur non potendo investire in forma diretta le scelte imprenditoriali (Cass. n. 14045/2016).
Tale responsabilità per omissione trova le sue radici fondanti nelle disposizioni degli artt. 2403 e ss. c.c., nonché sul piano penale nell’art. 40 comma 2 c.p.

Parte della giurisprudenza ha contribuito a ricostruire meglio tale tematica, sottolineando come il collegio sindacale rappresenti un organo di controllo tipico, chiamato a vigilare sull’amministrazione della società, con il compito di garantire l’osservanza della legge e il rispetto dell’atto costitutivo nonché di accertare che la contabilità sia tenuta in modo regolare (cfr., tra le altre, Cass. n. 26399/2014).

Tuttavia, tale responsabilità sussiste solo qualora emergano puntuali elementi sintomatici, dotati del necessario spessore indiziario, in forza dei quali l’omissione del potere di controllo – e, pertanto, l’inadempimento dei poteri doveri di vigilanza il cui esercizio sarebbe valso a impedire le condotte distrattivi degli amministratori – esorbiti dalla dimensione meramente colposa per assurgere al rango di elemento dimostrativo di dolosa partecipazione, sia pure nella forma del dolo eventuale, per consapevole volontà di agire anche a costo di far derivare dall’omesso controllo la commissione di illiceità da parte degli amministratori.

Si tratta di individuare “indicatori” della volontà dolosa di concorrere nel reato, per evitare il rischio di una responsabilità ascritta solo a titolo di negligenza o, peggio, derivante dalla mera posizione di controllo. Si pensi, ad esempio, al fatto che i sindaci siano espressione del gruppo di controllo della società, alla circostanza che di essi sia provata la rilevante competenza professionale, ovvero che i sindaci abbiano omesso, malgrado la situazione critica della società, ogni minimo controllo.

Nel caso all’esame della sentenza in commento, la Corte d’Appello non ha fornito spiegazioni adeguate sul canone di attribuzione della responsabilità per omissione ai sindaci. Neppure si è esplicitato adeguatamente – evidenzia la Cassazione – come i sindaci avrebbero potuto impedire l’evento contestato, posto che le operazioni distrattive venivano compiute dagli amministratori secondo uno schema che prevedeva lo spostamento delle somme da conto corrente a conto corrente, senza che sia stata provata la partecipazione a tale modalità fraudolenta di sottrazione di risorse mediante l’omesso controllo demandato al collegio sindacale (e neppure la consapevolezza di esso).

Tale osservazione si colora di maggior rilievo se si pone mente alla circostanza che dette condotte distrattive sono state in grado anche di ingannare gli enti pubblici preposti a singole porzioni di controllo della gestione societaria (si dà atto che l’INPS, ad esempio, aveva fornito alla società un documento attestante la regolarità contributiva); e, infine, al fatto che, proprio contraddicendo uno degli indicatori di responsabilità enucleati dalla giurisprudenza, gli imputati sono stati dichiaratamente indicati dalla sentenza impugnata come persone di scarsa competenza professionale, dipendenti essi stessi della cooperativa di vigilanza.

Alla luce di tutto ciò, viene annullata la condanna non solo relativamente al reato di bancarotta ormai prescritto, ma anche per le sue conseguenze sul piano civile (per le quali si rinvia ad altro giudice per un nuovo accertamento secondo i criteri enunciati).