Resta il potere, in capo al giudice delegato, di sospendere le operazioni di vendita per gravi e giustificati motivi

Di Tommaso NIGRO

L’art. 107 del RD 267/42 delinea un percorso che, alla regola generale di cui al primo comma – secondo la quale “le vendite e gli altri atti di liquidazione posti in essere in esecuzione del programma di liquidazione sono effettuati dal curatore tramite procedure competitive” – contrappone la possibilità di “prevedere nel programma di liquidazione che le vendite dei beni mobili, immobili e mobili registrati vengano effettuate dal giudice delegato secondo le disposizioni del codice di procedura civile in quanto compatibili”.

La norma introduce poi, al comma 4 del medesimo art. cit, l’istituto della sospensione della vendita con la possibilità offerta al curatore di esercitare detto potere nelle ipotesi in cui “pervenga una offerta irrevocabile d’acquisto migliorativa per un importo non inferiore al 10% del prezzo offerto”.

Il sistema così congegnato fa emergere il patente conflitto tra disciplina concorsuale e quella del codice di procedura civile per la vendita senza incanto, che è connotata dal requisito della “stabilità”; il che stimola qualche ulteriore considerazione in ordine al coordinamento tra la dedotta “irretrattabilità” della vendita senza incanto, che non prevede la possibilità di formulare ulteriori aumenti, e la “riapertura” della procedura competitiva disciplinata dall’art. 107 comma 4.

La dottrina prevalente è orientata a concludere che il potere di sospensione previsto dalla norma sia esercitabile da parte del curatore esclusivamente in relazione alle vendite operate per suo tramite e non invece nell’ipotesi in cui le operazioni di vendita siano state demandate al giudice delegato.

Assunto condiviso dalla giurisprudenza di legittimità la quale ritiene che “il potere di sospensione previsto dall’art. 107, comma 4, L. Fall. sia incompatibile con lo svolgimento delle operazioni di vendita da parte del Giudice Delegato, le quali rimangono invece regolate dalle norme proprie del processo di esecuzione” (Cass. 11 aprile 2018 n. 9017; cfr. Cass. 19 ottobre 2011 n. 21645, secondo cui il potere sospensivo del curatore opera solo in quanto “non sia stata scelta la strada della liquidazione ad opera del giudice secondo le norme del codice di procedura civile”).

Il principio risulta ripreso, di recente, anche dal Tribunale di Avellino (provvedimento del 19 marzo 2021) il quale ha avuto modo di evidenziare come “solo nell’ipotesi di vendita di cui al comma secondo, che è a schema rigido e predeterminato, devono ritenersi automaticamente applicabili, ad integrazione del bando, tutte le disposizioni normative dettate dal codice di procedura civile”; conseguendone che “quando il curatore ha optato per lo schema della vendita senza incanto regolato dal codice di rito, deve ritenersi applicabile il disposto dell’art. 572 co. 2 c.p.c., che afferma la definitività dell’aggiudicazione in favore del maggior offerente, non ammettendo, diversamente dalla vendita con incanto, la presentazione di offerte migliorative e la conseguente riapertura della gara”.

La questione in esame, per quanto sufficientemente pacifica, merita però un’ulteriore riflessione che involge la ratio del sistema concorsuale ed in particolare il tema della compatibilità.
La prospettiva avallata dalla giurisprudenza fa perno su di una sostanziale “inversione” della norma imperativa dando preminenza all’adottato codice di rito rispetto alla normativa fallimentare, così intendendo che la norma concorsuale debba adattarsi a quella del codice di procedura e non viceversa (proprio in ragione della scelta adottata). A ben vedere, però, non sarebbe aprioristicamente da escludere una diversa chiave di lettura potendosi diversamente concludere che, nell’adottare la procedura di vendita tipica dell’esecuzione individuale, allorquando detta norma entri in contrasto con la disposizione concorsuale, debba essere questa ad arrestarsi e cedere il passo alla disciplina speciale dettata dal fallimento, valorizzando l’inciso “secondo le disposizioni del codice di procedura civile in quanto compatibili”; da ciò potendosi desumere un “arretramento” dell’art. 572 c.p.c. per effetto della “non compatibilità” con la regola primaria dell’art. 104 del RD 267/42.

Senonché, anche in ottica evolutiva, l’orientamento giurisprudenziale può ritenersi confermato dal nuovo assetto del Codice della crisi che, non più riproponendo il potere di sospensione in capo al curatore, di fatto elimina il contrasto e sancisce la “prevalenza” della regola tipica delle esecuzioni individuali nell’ottica, condivisibile, di favorire proprio quella “stabilità della vendita” che aveva ingenerato i dubbi di cui sopra e che, invece, appare condizione imprescindibile per garantire certezza all’aggiudicazione, contribuendo a ridurre i rischi d’inquinamento e stimolando la risposta del mercato, così avvicinandosi al sistema negoziale classico. Né si pensi che il sistema resti senza tutela essendo ancora presente, all’art. 217, il potere, in capo al giudice delegato, di sospendere le operazioni di vendita per gravi e giustificati motivi ovvero quando il prezzo offerto risulti notevolmente inferiore a quello ritenuto congruo.