La Suprema Corte precisa che soltanto la presenza di un esatto adempimento giustifica l’erogazione della somma di denaro

Di Maria Francesca ARTUSI

La truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche è uno dei reati che spesso dà vita nella prassi giudiziale a una contestazione anche nei confronti delle società ai sensi del DLgs. 231/2001.
Una delle questioni più controverse in materia riguarda l’individuazione del profitto del reato, ai fini del sequestro e/o della successiva confisca.
Su questo tema si sofferma la sentenza n. 3439 della Corte di Cassazione, depositata ieri, che ha confermato il sequestro preventivo, sia diretto che per equivalente, per la somma di più di 3 milioni e mezzo di euro nei confronti di una società per azioni che aveva ricevuto contributi dalla Regione Sicilia.

Va ricordato in proposito che il profitto del reato oggetto della confisca di cui all’art. 19 del DLgs. 231/2001 si identifica con il vantaggio economico di diretta e immediata derivazione causale dal reato presupposto, ma, nel caso in cui questo venga consumato nell’ambito di un rapporto sinallagmatico, non può essere considerato tale anche l’utilità eventualmente conseguita dal danneggiato in ragione dell’esecuzione da parte dell’ente delle prestazioni che il contratto gli impone (Cass. SS.UU. n. 26654/2008).

Si tratta, qui, della differenza tra “reato contratto” e “reato in contratto” rappresentata dalla giurisprudenza proprio per distinguere la parte “illecita” del profitto rispetto a quanto invece rappresenta il giusto corrispettivo di una prestazione lecita, sebbene di origine illecita. Nel “reato contratto” si realizza una immedesimazione del reato con il negozio giuridico che risulta integralmente illecito (ad esempio, società che operano nel traffico di stupefacenti). Nel “reato in contratto”, invece, il comportamento penalmente rilevante non coincide con la stipulazione del contratto, ma incide sulla fase di formazione della volontà (ad esempio, truffa finalizzata all’aggiudicazione di un appalto), senza necessariamente inficiare anche l’esecuzione effettiva del servizio prestato.

Un rapporto di prestazioni contrattuali così connotato manca, tuttavia, nella diversa ipotesi in cui l’erogazione della somma di denaro non trovi giustificazione nell’obbligazione assunta di erogare il controvalore effettivo per la prestazione ricevuta, ma costituisca un’elargizione finalizzata al perseguimento di obiettivi di carattere generale.
Proprio tale ultima ipotesi ricorre nel caso in esame, dove l’erogazione del denaro in favore della società non rappresentava il corrispettivo per la prestazione effettuata (cioè, non costituiva il controvalore effettivo per il servizio prestato), consistendo – invece – in un contributo erogato per l’esecuzione dell’attività di trasporto e sostanziandosi in un aiuto (un contributo, appunto) erogato dalla Regione siciliana al fine di incentivare e supportare un’attività di collegamento tra le isole.

In realtà, sussisteva qui un servizio corrispondente al contributo erogato, rappresentato dalla finalità di consentire il trasporto delle persone a mobilità ridotta in condizione di parità con tutti gli altri passeggeri. Per i giudici di legittimità, però, tale impegno “non è sufficiente a ricondurre il rapporto a un’ipotesi di rapporto contrattuale a prestazioni corrispettive in senso stretto, così come sopra inteso, per il cui configurarsi è necessario che la somma erogata costituisca il controvalore effettivo della prestazione ricevuta”.

L’erogazione della somma di denaro trova, infatti, una giustificazione diversa, rintracciabile nella necessità di garantire un servizio pubblico essenziale (come il trasporto), che spinge gli enti pubblici a elargire somme di denaro in favore di soggetti privati al fine di incentivarli e supportarli nell’espletamento di un’attività coincidente con l’interesse pubblico, altrimenti antieconomica. Una tale ragione sfugge alla nozione di rapporto contrattuale a prestazioni corrispettive, come sopra delineata e alla quale, pertanto, il rapporto contrattuale in esame non può essere ricondotto.

Inoltre, anche laddove venga riconosciuto il rapporto contrattuale, soltanto la presenza di un esatto adempimento giustifica l’erogazione della somma di denaro, così conservando la funzione di requisito imprescindibile e necessario al fine di escludere che le somme ricevute dalla Pubblica amministrazione siano una componente del profitto di reato.
In altre parole, unicamente la precisa erogazione della prestazione cui ci si è obbligati fa nascere il diritto alla controprestazione e – al contempo e conseguentemente – soltanto l’esatto adempimento giustifica e rende lecita la ricezione delle somme di denaro, altrimenti percepite illegittimamente.

Tale imprescindibile requisito di liceità manca nel caso in esame dove l’obbligazione assunta dalla società è rimasta chiaramente inadempiuta e dove l’inadempimento stesso appare essere “il frutto di condotte truffaldine perpetrate proprio nella fase esecutiva del contratto”.
Per questa ragione, il sequestro preventivo funzionale alla confisca va riferito all’intero ammontare dell’erogazione ricevuta.