Assonime invita a ripensare, per tempo, la procedura del DLgs. 14/2019 alla luce delle indicazioni di un recente provvedimento del Tribunale di Milano

Di Maurizio MEOLI

Assonime, nel Caso n. 2/2021, si sofferma sul provvedimento 18 ottobre 2019 del Tribunale di Milano, perché costituisce una delle prime pronunce che applica il nuovo art. 2086 comma 2 c.c., come inserito dal DLgs. 14/2019 (Codice della crisi), che sancisce l’obbligo per gli amministratori di assicurare adeguati assetti all’impresa anche per prevenire la crisi, perché costituisce anche la prima applicazione del dovere di denuncia al Tribunale dei sindaci ex art. 2409 c.c. per l’inosservanza da parte degli amministratori di tale nuovo obbligo,e perché consente alcune riflessioni sull’efficacia degli strumenti di allerta e prevenzione interni al diritto societario, già vigenti, in relazione alle misure previste dal Codice della crisi, la cui entrata in vigore è prevista per il 1° settembre 2021.

Il citato provvedimento, innanzitutto, ha stabilito che, ove la società versi in uno stato di vera e propria crisi – non essendo in grado di far fronte alle rilevanti obbligazioni contratte in passato ma solo ai costi correnti – la mera ricerca di “finanziatori” interessati all’acquisto delle azioni e la semplice valutazione della possibilità di cessione di alcune attività rientranti nel patrimonio della società risultano interventi che, in assenza di un piano industriale o di ristrutturazione del debito, rappresentano mere possibilità di superamento della crisi e integrano condotte di per sé non in linea con i doveri gestori precisati dal nuovo art. 2086 comma 2 c.c. In particolare, risolvendosi nella negazione dell’obbligo di verificare puntualmente la sostenibilità dell’impresa sociale nella sua prospettiva complessiva e non solo corrente, nonché dell’obbligo di attivare al più presto i necessari rimedi, risulta configurabile quale grave irregolarità palesemente foriera di pregiudizio – oltre che per gli interessi dei creditori – per la società, le cui prospettive di ordinata uscita dalla crisi ne risultano compromesse in modo rilevante.

Sono stati, quindi, ravvisati i presupposti ex art. 2409 c.c. per l’adozione – senza necessità di procedere a ispezione – del provvedimento di revoca dell’organo amministrativo e di nomina di un amministratore giudiziario. Misure che sono state considerate le uniche in grado di consentire il superamento della pregiudizievole inerzia rispetto alle verifiche in tema di continuità aziendale e rispetto alla tempestiva adozione dei necessari rimedi.

Il corretto adempimento degli obblighi sanciti dal nuovo art. 2086 comma 2 c.c. – sottolinea, quindi, Assonime – avrebbe dovuto condurre a una pianificazione degli interventi e delle operazioni necessarie a ripristinare le condizioni di equilibrio economico-patrimoniale, che trova espressione nel “piano di risanamento” (documento posto alla base di tutti gli istituti per la regolazione della crisi, contenente l’indicazione delle azioni di natura strategica e operativa da attuare per il riequilibrio della situazione economica, patrimoniale e finanziaria dell’impresa, nonché le proiezioni sui flussi di cassa da queste derivanti e l’indicazione dei tempi, dei modi e della misura di soddisfazione dei creditori).

Il provvedimento – osserva ancora l’Associazione – nel ripartire i compiti spettanti agli amministratori e all’organo di controllo, fa emergere come ai sindaci spetti, anche in questo ambito, il ruolo di supervisore di ultima istanza. Rispetto a ciò, peraltro, il profilo delicato attiene allo stabilire, volta per volta, quando la risposta degli amministratori possa ritenersi inadeguata al punto da configurare una grave irregolarità nella gestione (nel caso di specie tale circostanza derivava dall’assoluta mancanza di concretezza e pianificazione delle soluzioni per uscire dalla crisi).

La decisione del Tribunale di Milano, infine, offre ad Assonime l’occasione per invitare a un ripensamento delle misure di allerta e composizione della crisi non ancora in vigore. La procedura prevista, infatti, è reputata, nel complesso, farraginosa e complessa e, pur svolgendosi in sede stragiudiziale, in caso di esito negativo si conclude automaticamente con una segnalazione al PM che, ravvisando uno stato di insolvenza, deve presentare istanza di liquidazione giudiziale (attuale fallimento). Ciò scoraggia l’imprenditore dall’accedervi volontariamente, anche per il rischio di diffusione di indiscrezioni sullo stato di salute dell’impresa, che generano un clima di sfiducia verso la stessa.
Peraltro, è proprio il ricordato provvedimento del Tribunale di Milano a fornire spunti di riflessione sull’efficacia di un sistema di allerta e prevenzione affidato all’ambito delle competenze degli organi sociali e dei rimedi del diritto societario già vigenti.

La denuncia ex art. 2409 c.c., in particolare, potendo condurre alla revoca degli amministratori e alla nomina di un soggetto estraneo alla società, rappresenta un forte stimolo affinché gli organi sociali, ciascuno per la propria competenza, si attivino per risolvere spontaneamente e tempestivamente la crisi e per garantire la continuità aziendale.

Il tutto, poi, potrebbe essere completato con l’introduzione di strumenti di ausilio che consentano agli amministratori di ricorrere a meccanismi flessibili e semplificati di composizione assistita della crisi, per raggiungere accordi stragiudiziali con i creditori o per rinegoziare i contratti, in modo da trovare prontamente soluzioni ragionevoli.