Il DLgs. 14/2019 ha agevolato la quantificazione del danno e quindi le azioni di responsabilità contro amministratori e sindaci potrebbero aumentare

Di Saverio MANCINELLI

Dopo l’apertura della procedura concorsuale, in ipotesi di azioni di responsabilità contro amministratori e sindaci, si pone la questione della quantificazione del danno cagionato, tema che è oggi disciplinato dal terzo comma dell’art. 2486 c.c., introdotto – con entrata in vigore dal 16 marzo 2019 – dall’art. 378 Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (in breve CCII), recato dal DLgs. 14/2019.

Per quanto ci occupa, necessita premettere che l’art. 2486 c.c. stabilisce, nel primo e secondo comma, che, al verificarsi di una causa di scioglimento della società, gli amministratori detengono il potere di gestire la società ai soli fini della conservazione dell’integrità e del valore del patrimonio sociale e che, in ipotesi di violazione di tale limitazione, gli stessi amministratori sono personalmente e solidalmente responsabili dei danni arrecati alla società, ai soci, ai creditori sociali e ai terzi.

Non di rado, con l’apertura di una procedura concorsuale emerge che, pur essendosi verificata una causa di scioglimento (tra cui la “perdita” del capitale sociale, ex art. 2447 c.c. per una spa o ex art. 2482-ter c.c. per una srl, che potrebbe essere temporaneamente sterilizzata ai sensi dell’art. 182-sexies del RD 267/42 ricorrendo a un concordato preventivo o a un accordo di ristrutturazione dei debiti), gli amministratori non avevano posto in liquidazione la società, con conseguente “limitazione” dell’attività imprenditoriale mediante una gestione meramente conservativa.

Accertata la mala gestio, s’innesta la problematica della quantificazione del danno patito dalla società, ergo risarcibile, dove la giurisprudenza – prima delle modifiche del codice civile apportate dal CCII – era tendenzialmente orientata nella necessità di valutare il danno in modo analitico e, nei casi di impossibilità di tale ricostruzione, di ricorrere a un “metodo equitativo” (differenza fra attivo e passivo concorsuale). Tuttavia, non mancavano sentenze dal contenuto critico rispetto all’impiego di tale metodica, indirizzate sulla necessità dell’individuazione dei singoli atti di mala gestio, che gravavano il curatore (unico soggetto autorizzato ad avviare le azioni di responsabilità che spetterebbero separatamente alla società e ai creditori) di un onere probatorio quasi impossibile.

Come detto, la querelle appare oggi risolta, poiché disciplinata dall’art. 2486 c.c., che nel nuovo comma 3 – come regola generale – statuisce che il danno risarcibile da amministratori e sindaci per condotte di mala gestio deve determinarsi con il criterio della differenza dei “netti patrimoniali”. Ciò implica che il danno risarcibile, salvo prova di un diverso ammontare, si presuma pari alla differenza tra il patrimonio netto alla data in cui l’amministratore è cessato dalla carica – o, in caso di apertura di una procedura concorsuale, alla data di avvio della stessa – e il patrimonio netto determinato alla data in cui si è verificata una causa di scioglimento di cui all’art. 2484 c.c., detratti i costi della normale gestione societaria.
In estrema sintesi, tale differenziale rappresenta oggi la quantificazione del limite massimo del danno risarcibile.

Il medesimo comma 3 dell’art. 2486, prevede, inoltre – quale eccezione alla regola generale – che il giudice debba ricorrere a una valutazione “sommaria” del danno (soltanto) se mancano le scritture contabili, se viene accertata la tenuta irregolare delle stesse o se, per altre ragioni, non è possibile la determinazione mediante il criterio dei “netti patrimoniali”.

In tale ipotesi residuale, il danno deve essere liquidato in misura pari alla differenza tra attivo realizzato e passivo (definitivamente) accertato nella procedura, poiché la responsabilità per i danni patiti dalla società va integralmente ascritta agli amministratori, essendo loro imputabile anche l’impossibilità di una ricostruzione analitica.