Di Giancarlo ALLIONE

Di tutto quello che accade Dante ha già scritto nella Divina Commedia.
Rubo quindi un meraviglioso spunto dalla relazione del cardinale Josè Tolentino de Mendonça, tenuta a Ravenna il 13 settembre scorso per la commemorazione della morte di Dante Alighieri avvenuta proprio in quella città tra il 13 e il 14 settembre 1321.

Nel secondo canto del Purgatorio, Dante e Virgilio, appena usciti dall’abisso infernale e ancora esausti per la fatica, si aggirano attoniti e smarriti alla base della montagna del Purgatorio, cercando una via per salire verso la salvezza. L’incertezza per il futuro, ancora enorme, li frena “come gente … che va col cuore e col corpo dimora”. Il peggio sembrava essere passato, ma ora perfino Virgilio non sa dove andare, di colpo anche gli esperti sembrano totalmente inesperti.

“Peregrin come voi siete” anche noi ci troviamo oggi in un non luogo, come l’Antipurgatorio dantesco, schiacciati tra il terrore di tornare nell’abisso e l’ansia di volercene andare lontano il più in fretta possibile, senza tuttavia sapere esattamente dove e come andare via.
Dietro l’angolo non c’è il Paradiso. “Se vogliamo un futuro per la nostra società, dobbiamo affrontare il purgatorio della messa in questione di errori, eccessi ed omissioni”, sottolinea il Cardinale.

Per contro, è veramente impressionante dover constatare come si continui imperterriti a fronteggiare il nuovo che ci attende replicando tutto l’armamentario che già prima era palesemente inadeguato. Con quel complesso di pregiudizi, norme, lacci e lacciuoli che da decenni con pervicacia bloccano o rendono faticosissimo fare qualsiasi cosa, impastati come siamo da tonnellate di burocrazia e buonismo a buon mercato (tutti possono fare tutto, basta che io non debba rinunciare a nulla), che ha forgiato una società basata su diritti senza doveri (per molti) e sul principio per cui la colpa è sempre di qualcun altro.

Può succedere qualsiasi catastrofe, ma i diritti e le abitudini acquisite non si toccano, neanche per un millimetro, neanche per un istante, neanche per un centesimo, neanche se sono la causa manifesta del disastro stesso (tipo movida forsennata o pensioni non coperte da contributi). Esattamente come ragionavano i nobili del Settecento: quello che è mio è mio per diritto divino, su quello che è degli altri si può ragionare.

Il COVID ha evidenziato, se ce n’era bisogno, la distinzione in caste della società italiana. Da una parte gli ipergarantiti (pensionati, dipendenti pubblici e titolari del reddito di cittadinanza). Tutti costoro non hanno perso nulla, per ora. Molti si sono arricchiti, poco o tanto. Pure il Presidente dell’INPS ha visto aumentato il suo stipendio. Dall’altra ci sono tutti gli altri che si sono dovuti aggiustare. Ribadisco: l’Agenzia delle Entrate conosce perfettamente le giacenze dei conti correnti. Un piccolo contributo proporzionato all’incremento della disponibilità liquida rispetto a quanto c’era sul conto il 1° marzo 2020, da destinare a favore di coloro che hanno perso tutto o che ancora rischiano di perdere tutto, sarebbe provvedimento di puro buonsenso. Ma niente, come se nulla fosse.

Anche sulla gestione della normativa del lavoro, nulla di nuovo. Chi è dentro o con lo smart working o con la cassa integrazione in qualche modo la sfanga. Gli altri, i disoccupati, si aggiustino. Il blocco dei licenziamenti è una soluzione che può avere un senso per un limitato periodo di tempo. Oltre, diventa gravemente discriminatoria, specie, tanto per cambiare, verso i giovani che cercano un lavoro magari per la prima volta.

Il tema non è rinviare i licenziamenti, creando un bubbone sempre più grande che prima o poi scoppierà. Il punto è, da una parte, evitare che i licenziamenti ci siano, e questo si ottiene aiutando le imprese a rimanere vive, dall’altra incentivando le nuove assunzioni, e questo si ottiene, almeno in questo momento di totale incertezza, prima che riducendo i contributi, assicurando alle imprese di poter licenziare per motivi economici almeno coloro che dovessero essere assunti in questi giorni. Ogni occasione di lavoro, anche microscopica, deve essere colta, e non bruciata per il timore di non poter adeguare la propria struttura produttiva all’andamento della situazione del mercato.

Se fosse vero che il vaccino è vicino, si tratta di resistere ancora qualche mese. Al posto di continuare a finanziare acquisti che si traducono al 90% in importazioni (tipo banchi a rotelle, bici elettriche, e monopattini), ogni risorsa va destinata al supporto delle imprese italiane, specie a quelle cui sarà inevitabilmente richiesto il sacrificio di nuove chiusure, in modo chirurgico e controllato, evitando oggi di dare, come fu fatto, il soldino a pioggia, financo a titolari di redditi importanti e parlamentari.

Anche il Fisco potrebbe fare la sua parte, supportando norme ottime quali sono quelle che incentivano le ristrutturazioni degli edifici, con interpretazioni non troppo micragnose, senza obbligare gli operatori a dover stabilire se il tetto è incollato al piano sottostante oppure no, o discriminando fra due fratelli che possiedono i due alloggi dove abitano in condominio rispetto a quelli che li possiedono in comunione.

Ma statene certi, andremo avanti. Con gli ipergarantiti che scioperano e gli antagonisti che danno il loro consueto contributo alla soluzione dei problemi incendiando cassonetti e malmenando impuniti qualche poliziotto. Come se nulla fosse.