Servono elementi idonei a dimostrare che il contribuente avesse il centro degli interessi vitali in Italia

Di Anita MAURO

La Corte di Cassazione penale, con la sentenza n. 29095, depositata ieri, nel rigettare il ricorso di un noto calciatore avverso il sequestro preventivo emesso con riferimento al reato di dichiarazione infedele, fa applicazione di alcuni principi in tema di residenza fiscale.

In particolare, il contribuente sosteneva che, essendosi trasferito stabilmente negli Emirati Arabi, fossero infondate le pretese del Fisco italiano, non potendosi rinvenire la sua residenza fiscale in Italia.
Nel dettaglio, secondo il calciatore, la propria residenza all’estero sarebbe stata dimostrata dal fatto che questi vi avesse trasferito i propri interessi vitali, atteso che anche la moglie ed i figli si erano trasferiti negli Emirati Arabi Uniti, che egli era “costantemente presente sul posto” per la partecipazione agli allenamenti, ai ritiri ed alle competizioni, che ivi disponeva di un’abitazione, di un’automobile con patente di guida locale e che era iscritto ad un circolo privato.

Le doglianze sollevate dalla difesa dello sportivo, tuttavia, non convincono la Cassazione, anche perché richiedono, in realtà, un nuovo giudizio di merito, inammissibile.
Invece, la Suprema Corte ritiene correttamente motivata la sentenza del Tribunale delle Libertà, che, peraltro, avendo ad oggetto un provvedimento cautelare (sequestro), deve verificare il solo “fumus” del reato.

In particolare, secondo i giudici di legittimità, la pronuncia del Tribunale delle Libertà “si sviluppa su un percorso argomentativo del tutto logico, fondato su molteplici e concreti elementi di indagine”, in quanto ha fatto applicazione dei principi, in tema di residenza fiscale, fissati dall’art. 2 del TUIR.

Si ricorda che, in base a tale norma, si considerano residenti, ai fini delle imposte sui redditi, “le persone che per la maggior parte del periodo d’imposta sono iscritte nelle anagrafi della popolazione residente o hanno nel territorio dello Stato il domicilio o la residenza ai sensi del Codice civile”. Inoltre, il comma 2 del medesimo art. 2 del TUIR fissa una presunzione di residenza in Italia (che può essere vinta fornendo la prova contraria) per i i cittadini italiani cancellati dalle anagrafi della popolazione residente e trasferiti in Paesi a fiscalità privilegiata.

Alla luce delle norme citate, secondo la Cassazione, non presenta vizi logici la sentenza impugnata, in quanto, a seguito di un esame analitico, operato con riferimento a ciascuna delle annualità contestate, il Tribunale ha rinvenuto il fumus del reato di infedele dichiarazione ad opera del calciatore che, pur trasferito negli Emirati Arabi, presentava gli “indici” di un legame stretto con il territorio italiano.

In particolare, secondo la Suprema Corte, a tal fine rilevano: il versamento di contributi per collaboratori domestici, i numerosi rapporti finanziari e conti correnti detenuti in Italia, la proprietà di autoveicoli e motoveicoli in Italia, la titolarità di immobili ed utenze in Lecce e a Roma, le rilevanti spese sostenute in Italia, la stipula di contratti immobiliari in Italia, nonché la frequentazione degli istituti scolastici dai parte dei figli.

Tutti questi elementi, secondo la Cassazione, hanno legittimamente indotto il Tribunale delle Libertà a ritenere che il calciatore avesse mantenuto un effettivo e sostanziale domicilio in Italia per almeno 183 giorni in ciascuno degli anni oggetto di contestazione.

Inoltre, per quanto riguarda il riferimento all’applicazione della Convenzioni contro le doppie imposizioni tra Italia ed Emirati Arabi, i giudici di legittimità rilevano che il presupposto per l’applicazione della Convenzione sarebbe l’esistenza di una doppia imposizione – per l’appunto – mentre, a quanto risulta, il calciatore non ha mai addotto di avere effettivamente corrisposto le imposte negli Emirati Arabi. Tuttavia – lo ricorda la Suprema Corte stessa – ai fini delle Convenzioni rileva anche solo il potenziale assoggettamento alla fiscalità dello Stato in Convenzione.

In breve, quindi, il contribuente non ha fornito elementi di prova idonei ad escludere la sua residenza in Italia ed a vincere gli elementi di prova evidenziati dal Tribunale, i quali risultano coerenti anche con la Convenzione tra Italia ed Emirati Arabi, che, per risolvere i conflitti di residenza, seguendo il modello OCSE, individua i seguenti criteri: il possesso di un abitazione permanente; il centro degli interessi vitali, “da intendersi quale luogo nel quale sono più stringenti e le relazioni personali ed economiche familiari sociali, occupazionali politiche culturali”; il luogo in cui si soggiorna abitualmente.