Confermato l’orientamento che riconosce de plano la prededucibilità del credito

Di Antonio NICOTRA

La Cassazione, con la sentenza n. 27538/2019, rimarca il principio secondo il quale il credito del professionista che abbia svolto la funzione di advisor legale nella predisposizione della domanda di concordato rientra tra i crediti sorti “in funzione” della procedura e, come tale, a norma dell’art. 111 comma 2 del RD 267/42, deve essere soddisfatto in prededuzione nel successivo fallimento, senza che, ai fini di tale collocazione, debba essere accertato, con valutazione ex post, che la prestazione resa sia stata concretamente utile per la massa in ragione dei risultati raggiunti.

Laddove il concordato preventivo, in precedenza ammesso, sia caducato per impossibilità giuridica, non può escludersi l’esistenza del nesso di funzionalità e della prededuzione. Il giudice, nel verificare la riconducibilità della prestazione alla struttura della procedura, deve astenersi dalla valutazione dei vizi che hanno minato l’iniziativa di risanamento e dell’ascrivibilità degli stessi alla prestazione del creditore, svolgendo altrimenti un’indagine sull’esattezza dell’adempimento (e utilità in concreto della prestazione), che intercetta un piano diverso dalla mera funzionalità, concernente l’esistenza e la consistenza del credito.

L’intervento si inserisce nel solco di un percorso evolutivo intrapreso dalla giurisprudenza, volto ad affrancare la categoria dei crediti prededucibili, in ragione della loro funzionalità, da un controllo giudiziale sulla loro utilità.
La Cassazione n. 5098/2014, in particolare, aveva stabilito che anche ai crediti sorti anteriormente alla procedura di concordato, non occasionati dallo svolgimento della stessa, può riconoscersi la prededucibilità ove sia applicabile il criterio di cui all’art. 111 comma 2 del RD 267/42 (funzionalità/strumentalità delle attività professionali rispetto alla procedura); ciò in ragione dell’intento di favorire il ricorso al concordato e la conservazione dei valori aziendali.

La medesima ratio sta alla base dell’art. 67 comma 3 lett. g) del RD 267/42, che sottrae alla revocatoria fallimentare i pagamenti eseguiti dall’imprenditore per servizi strumentali all’accesso alla procedura concordataria. Il nesso funzionale è ravvisabile nella strumentalità delle prestazioni rispetto all’accesso alla procedura minore.

La Cassazione n. 6031/2014 ha, in particolare, sostenuto che l’art. 111 comma 2 del RD 267/42 deve essere inteso nel senso che il credito sorto in funzione di una procedura è senza dubbio anche quello sorto “per ottenere la prestazione di servizi strumentali all’accesso alle procedure concorsuali” ex art. 67 comma 3 lett. g) del RD 267/42, come l’attività svolta dal professionista per l’ammissione al concordato, non rilevando la natura concorsuale dello stesso (in quanto sorto anteriormente al fallimento).

La verifica del nesso di funzionalìtà/strumentalità deve essere compiuta controllando se l’attività prestata possa essere ricondotta nell’alveo della procedura minore e delle finalità dalla stessa perseguite secondo un giudizio ex ante, non potendo l’evoluzione fallimentare della vicenda concorsuale, di per sé sola escludere il ricorso all’istituto (cfr. Cass. n. 17596/2019).

Secondo la Cassazione n. 280/2017, la funzionalità è ravvisabile quando le prestazioni del terzo, in seno al rapporto obbligatorio con il debitore, confluiscono nel disegno di risanamento e rientrano in una complessiva causa economico-organizzativa preparatoria della procedura. Nessuna verifica deve, invece, essere compiuta, ove alla procedura minore consegua il fallimento, in ordine al conseguimento di un’utilità in concreto per la massa dei creditori (concetto distinto da quello di funzionalità; cfr. Cass. n. 1182/2018).

L’utilità concreta per i creditori – a prescindere dai vantaggi come la cristallizzazione della massa e la retrodatazione del periodo sospetto ai fini della revocatoria fallimentare (Cass. n. 6031/2014) – non rientra tra i requisiti richiesti e le finalità perseguite dalla norma e non deve perciò essere indagata (Cass. n. 27538/2019).

Si rammenta che, con un recente intervento, la Cassazione n. 25471/2019 ha riconosciuto il carattere prededucibile al credito del professionista, che – in pendenza del termine ex art. 161 comma 6 del RD 267/42, a seguito del deposito della domanda di concordato in bianco – sia stato incaricato dal debitore di redigere l’attestazione (comma 3), laddove, dichiarata inammissibile la domanda ex art. 162 del RD 267/42 (senza che la procedura sia stata aperta ex art. 163 del RD 267/42), venga pronunciato il fallimento.

L’effetto automatico della prededuzione opera, tuttavia, solo se i crediti derivino da “atti legalmente compiuti” dall’imprenditore che abbia chiesto di essere ammesso al concordato (ciò spiega anche la distinzione di cui art. 161 comma 7 del RD 267/42 tra atti di ordinaria e di straordinaria amministrazione).

Ai fini della prededuzione, è necessario, inoltre, l’accertamento della consecutività tra il concordato e la successiva procedura, che non sussiste se il fallimento consegua a un’insolvenza non riconducibile alla crisi originaria (cfr. anche Cass. n. 24953/2019).